MY LAI: UN MASSACRO CHE SCONVOLSE IL MONDO

Pochi giorni fa ho descritto un terribile massacro per opera di soldati americani contro un villaggio indiano.

  Ora racconterò l’orrore di un massacro avvenuto molti anni dopo; non riguarda più indiani ma vietnamiti.

    Il massacro di My Lai avvenne contro civili inermi durante la guerra del Vietnam quando soldati statunitensi, comandati dal capitano Ernest Medina e dal tenente William Calley, uccisero 347 civili inermi (ma si parla di oltre 700), principalmente vecchi, donne, bambini e neonati.

   Il 16 marzo del 1968 i soldati entrarono dalla parte settentrionale del villaggio di My Lai svuotarono i caricatori contro inermi esseri umani e buttarono le bombe a mano nelle capanne. Violentarono le ragazzine in branco e poi le trucidarono con le baionette.

   I più “pericolosi” esponenti del villaggio: vecchi, donne e bambini furono raccolti in gruppi e falciati con le mitragliatrici. Lo stomaco di una donna gravida fu aperto con un machete, il feto lanciato lontano nelle sterpaglie.

   In un villaggio vicino, il tenente Calley guardava un neonato che a gattoni cercava di uscire dal mucchio di corpi massacrati. Il tenente, che amava le cose ben fatte, con un calcio spinse il lattante di nuovo nella fossa comune e gli sparò. Ovvio: non è mica facile distinguere un guerrigliero viet-cong da un bambino di otto mesi!

  I soldati finirono i superstiti, appiccarono il fuoco alle loro case, uccisero il bestiame rimasto, raccolsero infine donne e bambini e li finirono con sistemi non narrabili. Ufficialmente 347 civili. Anche se il numero rimane imprecisato perché quando misero fine alla mattanza, gli uccisori buttarono bombe a mano sui corpi per nascondere l’eccidio e rendere impossibile contare i morti. Nel rapporto militare fu scritto che erano stati uccisi 90 viet-cong e nessun civile!

  Il massacro fu fermato dall’equipaggio di un elicottero statunitense in ricognizione che atterrò frapponendosi tra i soldati americani e i superstiti vietnamiti. Il pilota minacciò di aprire il fuoco sugli americani se non si fossero fermati, ma non denunciò quanto avvenuto e se lo fece fu tutto velocemente insabbiato.

  Ricordo quest’ultimo fatto narrato affinché qualcuno non possa pensare che io sia anti americano per principio.  Infatti, non tutti i soldati americani furono così crudeli, altri buttarono solamente il napalm (gas terribile che bruciava la pelle e la carne e provocava una morte terribile) contro donne e bambini.

  Le voci sui massacri circolavano in USA ma si cercò di insabbiare tutto. Le manifestazioni contro la guerra del Viet- nam erano presenti in tutto il mondo e coinvolgevano anche migliaia di giovani in USA. Non era il caso di dare nuova linfa al grande movimento mondiale che chiedeva la fine della “sporca guerra”.

  Un giornalista indipendente scoprì la storia di My Lai il 12 novembre 1969. Le più importanti testate si rifiutarono, però, di pubblicare i risultati della sua inchiesta, che divennero di pubblico dominio solo quando l’Assoiated Press accettò la pubblicazione. Apparvero anche foto del massacro. Nel frattempo un soldato presente alla strage decise di raccontare tutto.

    Quando Calley, ufficialetto di complemento, prodotto in fretta e furia dopo appena 16 settimane di corso, la macchina militare americana, con i suoi 500 mila soldati, aveva subito (offensiva del Tet) non una semplice sconfitta, ma un’umiliazione, e il mito dell’invincibilità dell’esercito americano si era frantumato in patria e nel mondo. Intanto esplodeva il ’68 e i giovani in tutto il mondo chiedevano che gli americani se ne tornassero a casa. Giovani e non solo giovani gridavano e scrivevano sui muri: “ YANKEE GO HOME”.  

   Calley, e i suoi soldati, non cercavano vittorie, cercavano vendetta per i compagni uccisi dai viet-cong, sfogo per la loro esasperazione e corpi da contare, per concludere la missione e tornare in fretta al mondo, a casa. Si chiamavano operazioni “cerca e distruggi”.

  Quando la notizia del massacro arrivò negli USA, qualcuno chiese giustizia, i più intendevano invece chiudere in fretta la faccenda per poter continuare in tutta tranquillità i bombardamenti sui centri abitati del Nord Vietnam. Il processo fu solamente contro Calley. Più semplice e sbrigativo. La giuria si ritirò in camera di consiglio il 16 marzo 1971, riconobbe Calley colpevole dell’omicidio di almeno ventidue civili e lo condannò ai lavori forzati a vita. La pena fu poi ridotta a 20 anni (intervenne il presidente americano Richard Nixon) e poi a 10, fu infine liberato  nel 1974 dopo tre anni e mezzo trascorsi agli arresti domiciliari.

  Per la destra americana questo criminale divenne un eroe di guerra.

Qualche anno fa (40 dopo il massacro), Calley ammise le sue colpe e si scusò con i parenti delle vittime. Ovviamente si guardò bene dal recarsi di persona a scusarsi in Vietnam dai parenti delle vittime…

  Il massacro comunemente noto come l’eccidio di My Lai, l’inutile orrore scatenato da un branco di vaccari assassini, è ricordato ancora oggi a Xom Lang, dove, in mezzo alla vegetazione e al silenzio, è stato eretto il monumento commemorativo alle vittime. My Lai è solo uno dei quattro villaggi dove i marines sfogarono la loro cieca violenza sui civili. Il monumento commemorativo è stato edificato a Xom Lang perché lì i massacri furono più efferati.

  Nella casa museo, è impressionante costatare che nel libro delle firme dei visitatori non compaiano nomi americani. Sembra strano che nessuno si senta in dovere di venire a vedere. Forse non sanno?

  Fuori dall’area recintata del museo i bambini giocano. Appesi agli alberi sono scritti su lavagnette di legno i nomi delle persone che sono state massacrate. Un esempio: la famiglia Khoi; il più grande aveva sedici anni, la più piccola tre anni; il signor Chinh, 91 anni, sicuramente un sovversivo; la famiglia Loy, padre, madre, figli, nipoti: 84 anni, 78 anni, 32 anni, 12 anni, 6 anni, 4 anni, 2 mesi… Numeri da rimanere inorriditi: ecco i vietcong, i pericolosi nemici.

   Il massacro degli indiani avvenne a Sand Creek nel 1864. Il massacro di My Lai nel 1968. Dimentichiamo più in fretta possibile questi vergognosi avvenimenti perché oggi non sarebbe più possibile succedano… Massacri del genere appartengono solo al passato.

  E’ proprio così?

  Un soldato americano l’11 marzo 2012 in preda a un raptus ha ucciso 18 civili nel distretto di Panjwai nella provincia di Kandahar, nel sud dell’Afghanistan…

… e i massacri d’innocenti continuano in Siria, in Libia, in Palestina e in tantissime parti del mondo.

  Un mio pensiero da pacifista, consapevole d’essere un utopista fuori moda: “Ma se la guerra trasforma normali ragazzi in mostri, perché non evitiamo la guerra, così impediremo al mostro che è in noi di uscire e colpire?”

  di Gianni ZANIRATO

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