Le dimissioni del Primo Ministro del Libano sono avvenute in un contesto complicato e poco chiaro. Cercare di capirlo non è secondario.
Facciamo un passo indietro. Al di là della prova giudiziaria definitiva è ormai chiaro che Putin è intervenuto pesantemente a favore dell’elezione di Trump in USA. E’ altrettanto chiaro che la Russia ha fatto una interferenza informatica a favore della Brexit nel referendum britannico.
Siamo in presenza di un fatto geopolitico di dimensioni enormi. La bipolarità tra Russia e America, formalmente finita con il crollo dell’URSS ma di fatto continuata fino all’anno scorso, ha lasciato il posto a qualcosa di nuovo. Oggi gli avversari, non dichiarati, per gli Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin sono l’Europa e la Cina. La prima perché è una potenza tecnologica e il più grande e il più ricco mercato mondiale. La seconda perché è diventata la prima nazione manifatturiera al mondo.
Trump ha deciso di disconoscere tutti i passi fatti da Obama per una collaborazione con l’Europa, per il raffreddamento delle crisi regionali, per una competizione basata sulla superiorità tecnologica con la Cina. Trump rappresenta i gruppi capitalistici più arretrati (come l’industria del carbone) che sono in declino e se ne fa paladino (visto che gli hanno pagato la campagna elettorale).
Per fare pressione sui suoi competitori agisce per accentuare le crisi nucleari. Nel Pacifico, contro la Corea del Nord per indebolire la Cina, in Medio Oriente per danneggiare l’Europa. Se le responsabilità di Pyogyang sono evidenti, è assolutamente pretestuosa la messa in discussione dell’accordo sul nucleare iraniano firmato da Obama.
Finito il passo indietro.
Stabilito il quadro globale, il Medio Oriente è uno scenario estremamente complesso. Noi siamo abituati a pensare agli arabi come fossero tutti uguali (come si diceva dei cinesi). Non tutti gli arabi però sono islamici e soprattutto gli islamici non sono affatto uniti. Ci sono molte correnti dell’Islam e soprattutto ci sono due grandi fazioni che si scontrano a sangue: Sciiti e Sunniti.
Immaginate quello che è successo tra Cattolici e Protestanti: il Sacco di Roma, la crociata degli Albigesi, la Notte di San Bartolomeo, la Guerra dei Trent’anni … Centinaia di migliaia di morti quando l’Europa contava pochi milioni di abitanti.
Bene. Un carnaio di dimensioni simili è avvenuto e avviene tutt’ora. Per tredici secoli sciiti e sunniti si sono scontrati in conflitti spietati fino alla guerra tra l’Iran e l’Iraq di Saddam Hussein durata otto anni (1980-1988) e quasi due milioni di morti. Alle guerre aperte vanno aggiunti gli atti di terrorismo. Ho già detto in altre occasioni che il numero dei morti per attentati nei Paesi extraeuropei è cento volte quello delle vittime nei Paesi più ricchi. Anche questi morti vanno messi in conto per la maggior parte alla guerra tra Sunniti e Sciiti.
La situazione attuale vede nel Medio Oriente quattro potenze regionali: Israele, Turchia, Arabia Saudita, Iran. Anche se non siamo più ai tempi delle Sette Sorelle quando il 90% dell’energia mondiale dipendeva dal petrolio mediorientale, quella regione mantiene un enorme valore strategico e finanziario. Ai tempi dello Scià di Persia, gli Stati Uniti controllavano rigidamente l’area tramite i suoi quattro guardiani. La scoperta di nuovi luoghi petroliferi e di nuove risorse energetiche hanno mischiato le carte. Soprattutto la rivoluzione khomeinista in Iran è diventata la spina nel fianco degli USA. L’Iran è molto lontano dal realizzare la bomba atomica ma non è più sotto controllo: questa è la sua vera colpa.
Torniamo a Cina ed Europa. Quale è il loro punto debole? La disponibilità di energia.
Ecco che ha un senso l’accordo Putin-Trump. Il primo ha in mano i rubinetti dei gasdotti dell’Europa centrale e del Nord. Il secondo è in grado di “regolare” il flusso dell’oro nero mediorientale che rimane la principale fonte di energia, malgrado il cracking, il petrolio venezuelano, libico, del Mare del Nord, ecc.
Ecco spiegata anche la convergenza sulla Siria e l’accordo per il South Stream in Turchia. Inoltre la sconfessione dell’accordo di Obama sul nucleare iraniano indebolisce il moderato Rohuani e rafforza gli integralisti e la loro politica di riarmo e corsa al nucleare che rende l’Iran più dipendente da Putin.
Con qualche concessione in Turchia e con un rigido controllo su Israele, Trump nella sua recente visita in Medio Oriente ha consolidato i rapporti con l’Arabia Saudita e ha incoraggiato Mohammad bin Salman Al Sa’ud, l’ambizioso principe ereditario, nella sua politica di contrasto agli sciiti in ogni Stato della zona.
Hariri in Libano era una personalità di equilibrio tra sunniti e gli sciiti di Hezbollah. Per le sue dimissioni ognuno racconta la propria verità, ma la sostanza è che lo scontro tra sunniti e sciiti, tra l’Arabia Saudita e l’Iran, diventa più grave con il rischio in futuro di generare conflitti più gravi che in Siria con più morti, sofferenze (e migrazioni).
Questa situazione di instabilità aumenta in quell’area l’influenza della Russia di Putin e degli USA di Trump.
Danneggia invece i Paesi europei per l’aumento del costo del fabbisogno energetico e per la riduzione degli scambi commerciali (l’Italia è il secondo partner commerciale dell’Iran).
di Angelino RIGGIO