Lo scrittore latino Tito Livio, nella sua opera Ab urbe condita, ci racconta la storia di Lucio Quinzio Cincinnato.
Egli fu un politico romano della prima età repubblicana. percorse tutto il suo cursus honorum fino ad arrivare a ricoprire la più alta carica possibile, ovvero quella di console, in maniera retta e giusta, come scrive lo stesso Tito Livio, seppur con diverse frizioni con parte del Senato e con i tribuni della plebe a causa di una rissa sfociata in un omicidio che coinvolse il figlio Cesone e a causa del quale perdette quasi tutti i suoi averi, restandogli solo pochi acri di terra nelle campagne fuori Roma.
Nella Roma antica, il cursus honorum era la “trafila” che un politico doveva compiere per poter aspirare a cariche più alte e prestigiose. Solo con una buona reputazione personale e un buon ufficio si poteva essere eletti a una carica più alta. Già questo dovrebbe far riflettere su quanto i romani tenevano all’esperienza e alle capacità dei propri uomini politici. Oggi, per intenderci, un romano antico faticherebbe a comprendere come un politico senza nessuna preparazione o esperienza “sul campo” possa ricoprire una carica come quella del deputato o del senatore.
Ma torniamo al nostro Cincinnato. Dopo aver concluso il suo “mandato” da console, non volle ricandidarsi e preferì, anche perché ormai anziano, coltivare i suoi campi.
Dopo qualche tempo la situazione a Roma era peggiorata: le tensioni fra patrizi e plebei indebolivano lo Stato e le campagne militari contro gli equi avevano preso una piega decisamente negativa. Si decise allora, all’unanimità, di nominare dittatore (pieni poteri a una sola persona per un periodo definito, che il Senato attribuiva in gravi circostanze) proprio Cincinnato, l’unico che sembrava avere l’energia ed il prestigio per affrontare la difficile situazione. Furono inviati dei messi per comunicargli la decisione ed invitarlo ad accettarla. L’uomo era intento nei lavori agricoli e stava arando il suo campo quando vide i messaggeri.
Chiese quindi alla moglie di portargli la toga: non si potevano ricevere gli ordini del senato in un abbigliamento non consono. Nell’attesa si asterse il sudore e la polvere. Cincinnato da contadino si era trasformato di nuovo in un uomo pubblico, pronto a sacrificarsi per il bene dello Stato. In breve raggiunse Roma, cercò di comprendere la situazione ed agire con criterio e prontezza. Gli Equi erano un popolo di montanari che abitava le regioni povere dell’attuale Abruzzo nei pressi del lago Fucino. Ora questo lago non esiste più in quanto si è totalmente prosciugato. Intorno al 458 a.C., attraversando l’Aniene, un gruppo di questa popolazione scese nella zona intorno a Tivoli, un altro raggiunse Preneste, che fu conquistata.
Il console romano Minucio rimase accerchiato dagli Equi nella valle sotto il monte Algido e solo cinque cavalieri riuscirono a portare la notizia a Roma. Cincinnato risolse che era di primaria importanza accorrere in aiuto del console. La rapidità dell’intervento dette i risultati sperati e gli avversari furono sbaragliati: a Cincinnato fu tributato il trionfo.
A soli sedici giorni dalla nomina a dittatore però, e con grande anticipo sulla sua scadenza naturale (il dittatore poteva rimanere in carica per sei mesi), Cincinnato ritenne esaurito il suo mandato e tornò alla vita agricola. Tornò ad arare i campi come privato cittadino, diremmo oggi.
Cincinnato è un personaggio che fa riflettere. Oggi in quanti tra i politici, a tutti i livelli, farebbero come lui? Credo in pochi. E chi sembra farlo quasi sempre è a causa di una sonora sconfitta, o di problemi con la magistratura, o anche per puro calcolo nell’attesa di tempi più favorevoli.
Credo che oggi bisognerebbe imparare dall’esempio di Cincinnato. Chi fa politica, che ritengo sempre essere un’arte nobile, dovrebbe ricoprire alti incarichi solo dopo aver maturato la giusta esperienza. Dopodiché lasciare al momento opportuno, esaurito il giusto tempo.
Insomma, per tutte le future elezioni, “cercasi Cincinnati”…
di Antimo DE RUOSI