Abbiamo già esaminato le migrazioni come elemento necessario e indispensabile per lo sviluppo umano (vedi l’articolo: Schiavismo, Olocausto, Migrazioni: le migrazioni e il loro aspetto umano). Abbiamo evidenziato come la fame abbia spinto l’uomo cacciatore raccoglitore a cercare sempre nuovi territori e lo abbia spinto a popolare l’intero pianeta. Abbiamo anche sottolineato come l’uomo si sia evoluto grazie al mischiarsi dei geni e delle culture.
La storia ha dimostrato che le società aperte sono sempre state le più ricche ed evolute (si pensi al melting pot di New York), mentre le società chiuse sono destinate alla stagnazione o all’estinzione.
Quando l’uomo passa dalla fase di cacciatore-raccoglitore a quella di agricoltore-allevatore, la ricchezza sociale aumenta notevolmente. Il surplus di ricchezza consente un aumento della popolazione e una maggiore complessità sociale: strutture di governo, religiose, eserciti, burocrazia ecc. (l’argomento è sviluppato nel libro ARMI, ACCIAIO E MALATTIE che ho già ricordato).
I nuovi modi di produzione spingono anche a due fenomeni importanti: la stanzialità (l’occupazione permanente di un territorio ricco e fertile) e la creazione delle città.
- Da allora il differenziale di ricchezza tra un territorio e l’altro determina la guerra e la migrazione.
- La creazione delle città, come motori sociali, determina lo spostamento delle popolazioni dalle zone rurali a quelle cittadine (urbanesimo), che è una forma di migrazione interna.
L’urbanesimo ha avuto fasi alterne nella storia. Roma ai tempi di Augusto aveva un milione di abitanti ma nel 1400 ne aveva solo 35.000. Amsterdam era un piccolo borgo di pescatori a metà del 1500 e all’inizio del 1600 era la più ricca città del mondo con un’impennata di urbanizzazione che non si era mai registrata nella storia. In particolare la rivoluzione industriale accelera enormemente il processo di urbanizzazione. Si pensi a Nichelino che negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso (durante il “miracolo economico” e soprattutto con la motorizzazione di massa) passò da 10.000 a 50.000 abitanti: fatte le debite proporzioni, sarebbe come se l’Italia, in dieci anni, accogliesse 200 milioni di migranti. Torino negli stessi anni passò da 700.000 abitanti a superare il milione. Sappiamo tutti quali tensioni sociali (il contrasto tra terroni e polentoni era una cosa molto seria e non una battuta) e quali enormi problemi strutturali (case, scuole, servizi) e di relazioni sociali ha comportato.
Nella seconda metà del secolo scorso le dimensioni delle città sono cresciute in modo esponenziale. Ricordo quando, da ragazzo, sono andato a Londra: partivo da Palermo, una città che – pur essendo una delle più popolose d’Italia – allora non raggiungeva i 500.000 abitanti, e sono arrivato a Londra che, con sei milioni di abitanti, era la seconda al mondo. Oggi, il 54 per cento della popolazione mondiale vive in aree urbane, una percentuale che dovrebbe aumentare al 66 per cento entro il 2050.
A metà di questo secolo due terzi dell’umanità vivrà nelle città.
La popolazione urbana del mondo è cresciuta rapidamente dai 746 milioni del 1950 ai 3,9 miliardi del 2014.
Tokyo rimane la città più grande del mondo con 38 milioni di abitanti, seguita da Delhi con 25 milioni, Shanghai con 23 milioni, e Città del Messico, Mumbai e San Paolo, ciascuno con circa 21 milioni di abitanti. Osaka ha poco più di 20 milioni, seguita da Pechino con poco meno di 20 milioni. L’area di New York-Newark e Cairo completano le prime dieci aree urbane più popolose con circa 18,5 milioni di abitanti ciascuna.
È vero che, se ben gestite, le città offrono importanti opportunità di sviluppo economico. Le megalopoli sono i centri principali della globalizzazione tanto che spesso sono più interconnesse New York, Londra, Singapore e Kuala Lumpur piuttosto che i rispettivi Stati (l’argomento è sviluppato in un bel libro, che consiglio, dal titolo CONETTOGRAPHY).
Nel contempo ci creano nuovi problemi. Da una parte la necessità di fornire nelle città i mezzi pubblici, così come l’alloggio, elettricità, acqua e servizi igienico-sanitari, garantire l’ordine pubblico, combattere l’inquinamento. Dall’altra lo spopolamento delle campagne, la fine dell’agricoltura intensiva e i rischi crescenti di quella estensiva (abuso di fertilizzanti e pesticidi, monopoli del cibo – es. Monsanto -, distruzione delle foreste, abbandono delle montagne, dissesto del territorio, land grabbing, guerre per l’acqua, ecc.).
Quest’ultimo ordine di problemi, che esiste ovunque, ha dimensioni critiche nei Paesi più poveri determinando migrazioni inarrestabili verso quelli più ricchi (che devono in gran parte la loro opulenza alla depredazione di terre, risorse e ricchezze di quelli più poveri).
Oggi i migranti nel mondo sono 244 milioni con un aumento del 40% dall’inizio del millennio.
Di questi 65,6 milioni di persone, un numero senza precedenti, sono state costrette a fuggire dal proprio Paese (per guerre, fame, epidemie, siccità, ecc.).
Un gran numero di migranti viene dalle zone dove ci sono conflitti; per esempio dalla Siria sono partiti 5 milioni di migranti. Nel mondo 22,5 milioni sono i rifugiati costretti a lasciare le proprie case per guerre o persecuzioni. La maggior parte dei migranti che giungono in Italia provengono da Nigeria, Guinea, Bangladesh, Costa d’Avorio, Eritrea. Sono i migranti per fame (quelli che Salvini vuole respingere perché “illegali”: come quelli che sono partiti dall’Italia dopo la tassa sul macinato del Regno d’Italia o per la peronospora della vite a fine ‘800 o per la devastante carestia per la malattia della patata che colpì l’Irlanda a metà dell’Ottocento causando un milione di morti e un milione di migranti (su quattro milioni di abitanti di allora).
- Secondo i dati dell’ultimo International Migration Report delle Nazioni Unite, i migranti provengono per la maggioranza dall’India (16 milioni), dal Messico (12 milioni), dalla Russia (11 milioni) e dalla Cina (10 milioni).
- I Paesi più ricchi, gli USA, sono ovviamente quelli con il più alto numero di stranieri (47 milioni). A seguire ci sono Germania e Russia (è interessante notare che questo Paese è contemporaneamente tra quelli a maggiore emigrazione e immigrazione) con 12 milioni e il Regno Unito con 9 milioni. L’Europa è il Continente con il più alto numero di migranti (76 milioni nel 2015, nel 2000 erano 56 milioni). Al suo interno, i più ambiti sono i Paesi del Nord (13%) e dell’Europa Occidentale (14%). L’Italia si mantiene sotto la media europea con il 10%. C’è stato però un aumento del 50% da inizio secolo. Il numero assoluto è basso ma l’incremento genera questioni politiche che affronteremo nella terza e ultima parte del capitolo sulle Migrazioni.
di Angelino RIGGIO