Il politologo Pasquino spiega che il Pd per Renzi è stato solo “un veicolo” per arrivare al suo partito personale. “Il partito ritrovi un po’ di cultura socialista”
Marco Minniti ritira la candidatura alla segreteria del Pd in polemica con i renziani che accusa di “ambiguità” nel sostegno alla sua corsa verso la segreteria. Alle primarie l’ex ministro dell’Interno non ci sarà. “Un vero e proprio trauma per la corrente renziana – scrive il Corriere della sera – dilaniata e scossa dalle mosse del leader”. Quello che appare è un Pd in frantumi. Gianfranco Pasquino, politologo e autore di molti saggi, vede l’ipotesi “scissione” come “una realtà alla quale è chiaro che Renzi sta lavorando da tempo”.
Insomma, professore, Renzi se ne va davvero?
“Sembra nei fatti che Renzi abbia creato i comitati civici per questo motivo e che abbia suggerito a Minniti di candidarsi solo per rendere difficile la vittoria a uno dei candidati, cioè Zingaretti. Che poi adesso non lo appoggi più in maniera convinta significa che se ne va. E quindi a quel punto non interessa neanche più chi diventa segretario del partito. Questo è quello che io leggo e che mi sembra che l’operazione sia in una fase abbastanza avanzata”
E’ la fine del Pd?
“Non è la fine del Pd, ma è la fine di un equivoco. Perché Renzi non era interessato al Pd ma era interessato a un veicolo con il quale giungere fino a dove è giunto. Per un periodo di tempo piuttosto lungo però, perché è stato presidente del Consiglio anche troppo tempo. Dopo di che del partito non si è mai interessato in nessun modo, grosso errore, e infatti se ne va da un’altra parte”.
Quali prospettive ha?
“Cercherà di avere un altro veicolo tutto suo che gli permetta di mantenere un po’ di potere. Che non sarà più il potere che ha avuto, ovviamente, ma chissà…”.
Scenario fluido…
“Dato che il potere italiano è così scassato può darsi che un partito del 7-8 per cento possa diventare determinante in una situazione di crisi nella quale si imbarca un po’ tutti per cercare di fare un governo”.
Zingaretti sembra ormai lanciato verso la segreteria senza ostacolo alcuno. Avrà le capacità necessarie per risollevare le sorti di quello che è stato un grande partito?
“Grande partito non saprei, è stato sicuramente un partito importante per la sua collocazione e le sue origini. Doveva mettere insieme ex comunisti ed ex democristiani, due tradizioni importanti che però si sono praticamente sciolte negli ultimi anni, nel senso che non avevano più nessun tipo di cultura politica. Nessuno ha mai saputo davvero che cos’era il Pd e credo che purtroppo non solo sappia neppure Zingaretti”.
Il governatore del Lazio va a tentoni.
“Zingaretti diventerà sicuramente segretario del partito, ma non ha ancora detto che tipo di partito vuole, quindi come posso dire io se riuscirà a risollevare le sorti del Pd? Certo può cercare di raggiungere qualcuno al di fuori, penso soprattutto a Liberi e Uguali. Ma già mi sembra operazione delicata questa, ancora di più mi sembra quella di rilanciare un partito di sinistra che è quello di cui forse l’Italia ha bisogno”.
Il riformismo di sinistra si è perso per strada?
“Sì ma è morto già diverso tempo fa. Il Pd non stava più facendo nessun riformismo e tanto meno riformismo di sinistra. Se Zingaretti vuole rilanciarlo ha davanti a sé una grande prateria nella quale però deve riuscire a trovare molti alleati e la sua campagna elettorale fino adesso non è stata particolarmente brillante”.
Col senno di poi il Pd è stato un errore?
“Sicuramente sì, perché si basava su quella che tutti chiamavano una ‘fusione a freddo’. Non veniva cioè dopo una fase di effervescenza e mobilitazione ma è stata la decisione di due gruppi dirigenti che si sono messi d’accordo e hanno fatto questa operazione. E l’hanno fatta troppo rapidamente senza cultura politica. Se qualcuno dicesse che quella è la cultura riformista certo sbaglierebbe. Infatti i Verdi e la cultura ambientalista non hanno mai fatto la loro comparsa. Hanno reclutato Realacci ma non la cultura ambientalista. Ma mi permetta…”.
Prego.
“Si sono dimenticati soprattutto che se c’è stata una cultura riformista in questo Paese è stata la cultura socialista. E invece hanno respinto i socialisti tanto che buona parte è finita nelle file di Forza Italia. E questo è stato un grande errore, nei tempi, nei modi a forse anche nelle prospettive”.
Però in Europa le istanze di sinistra, quelle socialiste, in qualche modo stanno riemergendo. Penso a Melenchon in Francia o all’esperienza spagnola o portoghese. E in Italia invece?
“In Italia non le vedo. Da nessuna parte. Per esempio, dico che Liberi e Uguali è stata un’occasione perduta, anche qui, di darsi una visione davvero socialista. Forse dovrebbero cominciare un po’ tutti a studiare a andare in giro e vedere come stanno le cose. A cercare di capire come si può far risorgere un partito che io continuerei a chiamarlo socialista, un partito effettivamente riformista, però che abbia poche ma buone idee e altrettanto pochi dirigenti”.
Tiscali 6 dicembre 2018
COMMENTO
Ho trovato molto interessante questa intervista al prof. Gianfranco Pasquino.
Finalmente qualcuno ha il coraggio di pronunciare la parola ormai dimenticata da quasi tutti i commentatori ed i politici: “socialismo”. Sembra ormai una oscura parola della quale si è perso il ricordo ed il significato.
La si mormora a bassa voce come ci si dovesse vergognare.
La parola “socialismo” è stata una delle più belle ed importanti parole per tanti secoli.
Milioni di lavoratori e democratici sono morti sotto questa bandiera (purtroppo altri milioni sono morti per mano di chi indegnamente portava la stessa bandiera).
Secondo l’enciclopedia Treccani il socialismo:
“Nel senso storicamente più vasto, ogni dottrina, teoria o ideologia che postuli una riorganizzazione della società su basi collettivistiche e secondo principi di uguaglianza sostanziale, contrapponendosi alle concezioni individualistiche della vita umana.
In senso più stretto, e in epoca moderna, sistema generalizzato di idee, valori e credenze, finalizzato a guidare i comportamenti collettivi – e i movimenti, i gruppi, i partiti che li organizzano – verso l’obiettivo di un nuovo ordine politico in grado di eliminare o almeno ridurre le disuguaglianze sociali attraverso una qualche forma di socializzazione dei mezzi di produzione e correttivi applicati al meccanismo di distribuzione delle risorse economiche.”
Aldilà del freddo tecnicismo di una enciclopedia, oggi questo nome è sparito dalle bandiere e dal vocabolario di tutti i partiti. Ma le parole sono pietre e l’assenza della parola “socialismo” dal vocabolario della sinistra italiana, denota la trascuratezza di alcuni principi fondamentali: uguaglianza di condizione per godere di una cittadinanza non fittizia; solidarietà con chi ha bisogno di intervento sociale, non per elargire pochi denari ma per “rimuovere gli ostacoli” (come vi è scritto nella nostra Costituzione) che impediscono di godere della libertà e la giustizia che i diritti riconoscono; libertà di progettare e fare, di respirare a pieni polmoni la condizione umana.
Non è casuale che insieme alla parola “socialismo” vengano accantonate altre parole come “sfruttati”, ad esempio. Si preferisce parlare di “umili” e “ultimi”, termini manzoniani che ci ricordano la carità ma non la contestazione e l’emancipazione sociale. In un periodo come questo, le parole potrebbero portare alla superficie la tradizione socialista che le ha coltivate, una ricchezza della quale vi è bisogno per poter dire perché ha senso essere anche oggi di sinistra.
Il socialismo è un’idea nobile, che fa della libertà e dignità della persona il principio di riferimento fondamentale dell’agire politico.
Scriveva Carlo Rosselli, ucciso a tradimento dai fascisti: “Chi voglia andare ai fondamenti dell’idea di giustizia incontrerà la libertà perché incontrerà il valore della persona”.
La sinistra ha una lingua, una storia, autori e libri sulla visione socialista. La quale è nata come rivolta morale contro l’ingiustizia economica e sociale, contro il potere dei pochi sui molti; si è servita dei movimenti politici per denunciare l’ingiustizia, ma anche per correggerla, quando era sfruttamento, discriminazione contro i diversi e intolleranza.
Sono sicuramente un “rottamato” ma a me la parola “socialismo” fa ancora battere il cuore. Tra i lettori di questo giornale ci sono altri “nostalgici” come me?
di Gianni ZANIRATO