Rincorreva l’unica possibilità di felicità che gli era stata data: scappare
di ROBERTO SAVIANO
La Repubblica del 09 gennaio 2020
Mentre il personale tecnico
dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi stava facendo una
ricognizione di routine sull’aereo di linea della Airfrance partito
martedì sera da Abidijan in Costa d’Avorio e atterrato a
Parigi alle sei di mattina di mercoledì, ha notato qualcosa di anomalo nel vano
del carrello. Avvicinandosi, comprende che c’era qualcuno, immobile: era un
cadavere, un piccolo cadavere.
Le comunicazioni che citano fonti
della polizia francese parlano di un immigrato: “di una decina di
anni”. Scritto proprio cosi “d’une dizaine d’annees“. La
Air France invece conferma ufficialmente la morte di un
“clandestino”. Sembrano le parole scelte per via di una sorta di
accortezza per non turbare il lettore, una specie di buona educazione per
preservare dal dolore, invece é solo una orrida astuzia per gestirne il
drammatico impatto mediatico, non si pronuncia la parola bambino.
È un bambino ad essere morto. Provate a
immaginarvi voi stessi a dieci, dodici anni chi eravate, come eravate. Provate
ad avere a tiro di sguardo un bambino di questa età ma fatelo ora in questo
istante, fissatelo. Provate a pronunciare nella vostra testa che ha una dozzina
d’anni e provate a descriverlo cittadino o clandestino a seconda dei documenti
che presumibilmente possiede. Ora provate a misurare il disgusto che sentite
per questa metrica di descrizione che avete appena usato.
Mentre scrivo ancora non si conosce il
nome né l’età precisa di questo bambino ivoriano, é facile però immaginarselo
nascosto mentre scorge nella radura che circonda l’aeroporto Félix-Houphouët-Boigny di Abidijan in
Costa d’Avorio, l’aereo parcheggiato in mezzo al nulla come spesso accade nelle
piste africane così distanti dall’agglomerato di cemento presidiato. È
semplice immaginarlo che corre nell’istante in cui ha intuito di non esser
visto, ed è stato così veloce e così attento nel trovare il momento adatto che
quando si è arrampicato sulle enormi gomme dell’aereo e poi con la sola forza
delle braccia si è aggrappato al telaio rannicchiandosi nel vano del carrello,
davvero nessuno si è accorto di nulla.
Ha sperato cosi di aver trovato il
posto giusto per arrivare in Europa, farcela ad avere la sua possibilità di
vita. Difficile capire se aveva avvertito qualcuno, se ne aveva parlato con sua
madre, se era solo in quella radura o se altri non hanno avuto la sua
temerarietà, la sua velocità di corsa e di slancio. Quello che sappiamo di
certo é che gli alloggiamenti dei carrelli di atterraggio non sono né
riscaldati né pressurizzati. Le temperature scendono a oltre -50°C tra i 9.000
e i 10.000 metri, l’altitudine alla quale volano gli aerei di linea.
Sapete cosa succede quando si è a 4mila
metri? È come respirare in una busta di patatine, a 5mila inizi a non riuscire
bene a muoverti, a 8 mila come dicono gli alpinisti é come correre su un tapis
roulant al massimo e “respirare solo tramite una cannuccia”. Poi
arriva un ictus e il cuore si spacca. Oltre i 42 gradi sottozero il corpo non
riesce più a termoregolarsi così cerca di scaricare tutto il suo calore,
arrivano febbre, sudorazione poi convulsioni, svenimento. Queste descrizioni
non sono una fenomenologia dell’orrore ma solo un tentativo di dare prova di
quello che un bambino ha provato pagando il suo sogno di volare via in Europa.
Se provassi a descriverne il terrore che deve averlo attanagliato al buio, al
gelo estremo mentre spariva l’ossigeno, mentre le orecchie gli sanguinavano per
la pressione verrei descritto come un buonista, un molle, un finto tenero
speculatore che vuole far politica sul dolore di un bambino. In questo cinismo
non annegava l’anima di questo bambino. Il sogno di volare, di volare non visti
e di arrivare in Europa riempie il cuore di un bambino più di qualsiasi analisi
delle possibilità reali di successo e della valutazione dei pericoli.
Volare via, trovare uno spazio di vita nuovo già immaginarsi dopo poche ore di
volo di chiamare a casa dicendo che ce l’hai fatta, queste sono fantasie che
riescono ad obliare ogni istinto di prudenza, a dissolvere persino la paura.
Così era accaduto anche a Yahuine Koita e Fode Tounkara: avevano
14 e 15 anni quando si nascosero il 29 luglio del 1999 in un carrello di un
aereo partito da Conakry in Guinea e diretto a Bruxelles.
Morirono assiderati, ma il mondo si accorse di questi due bambini perché
portavano una lettera scritta a mano all’Europa
“…Signori membri e responsabili dell’Europa, è alla vostra
solidarietà e alla vostra gentilezza che noi gridiamo aiuto in Africa.
Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa, aiutateci, abbiamo dei problemi e i
bambini non hanno diritti…in Guinea, abbiamo molte scuole ma una grande
mancanza di istruzione e d’insegnamento, salvo nelle scuole private dove si può
avere una buona istruzione e un buon insegnamento, ma ci vogliono molti soldi,
e i nostri genitori sono poveri, in media ci danno da mangiare. E poi non
abbiamo scuole di sport come il calcio, il basket, il tennis, eccetera. Dunque,
in questo caso noi africani, e soprattutto noi bambini e giovani africani, vi
chiediamo di fare una grande organizzazione utile per l’Africa perché
progredisca…”
L’attenzione e la commozione dilagò sui
media, ma nessuna politica cambiò da allora. Continuarono i tentativi di volare
nascondendosi nel vano carrelli. Nel 2013 il corpo di un ragazzo sedicenne era
stato trovato assiderato nel vano carrello di un aereo proveniente dal Camerun.
Nel luglio del 2019 mentre un tranquillo londinese se ne stava in giardino nel
quartiere di Clapham proprio dove gli aerei fanno manovra per
atterrare a Heatrow ha avuto la sensazione di un’improvvisa
esplosione.
Non era una bomba caduta dal cielo ma
un cadavere. Su un volo Nairobi Londra della Kenyan Airways un
ragazzo si era nascosto precipitando all’apertura del carrello. Negli ultimi
dieci anni in Uk era già accaduto altre due volte. Il 60% della popolazione
africana è sotto i 25 anni e il 40% ha meno di 15 anni. È il continente più
giovane del pianeta. L’Occidente ormai senza giovani, non riesce più a
comprendere le dinamiche che portano i giovani africani ad andare via a
qualsiasi costo.
Spesso la vergogna più grande in Africa
non è non riuscire a raggiungere un salario, a mantenere la propria famiglia, a
sposarsi, ma oggi la vergogna più
grande é non provare a scappare. La cancrena generata dalla politica populista
risiede tutta nell’aver costretto uno dei temi più complessi del nostro tempo,
l’Africa e le politiche migratorie, ad una gabbia interpretativa banalissima e
ideologica. Il dibattito politico ridotto a slogan talmente meschini da aver impedito
a tutti, anche a coloro che provano a smontarli, ad allontanarsi
dall’approfondimento su ciò che realmente sta accadendo in Africa e su ciò che
porta un’intera generazione ad avere un unico obiettivo: scappare per non
tornare.
Eppure non doveva andare così, le cose
non sono sempre andate così. L’Africa dal 2012 é piena di tentativi politici di
mutare il tragico destino a cui sembrava condannata, impedire di essere terra
di saccheggio ed impedire che la classe politica corrotta scarichi ogni responsabilità
solo sull’Occidente come alibi sempre utile.
Quando il movimento Y’en a
Marre (Non se ne può più) senegalese aveva fatto cadere il
presidente Wade oppure il Balai Citoyen del Burkina
Faso che costrinse alle dimissioni Blaise Compaoré, quando Lucha in
Congo, ed En Aucun in Madagascar, e anche Jeune et
Fort in Camerun, e ancora Wake Up in Madagascar
e Sindimujia (non sono schiavo) del Burundi, parlavano di
lotta alla corruzione, di democrazia e partecipazione civile, di mettere fine
ai presidenti a vita, di boicottare le politica contro le migrazioni europee,
di mettere al centro la donna, di combattere le monoculture, di difendere
l’ambiente.
Insomma quando questa Africa civile ha
iniziato ad organizzarsi, l’Europa l’ha temuta. Spaventata dal non poter più
controllare, sclerotizzata dai vecchi accordi per tutelare l’estrazione
mineraria, le piantagioni, ricattata dalle imprese che non si fidavano dei
nuovi movimenti e preferivano quelli che erano politici “figli di
puttana” ma “i nostri figli di puttana”.
Ecco l’Europa e gli Usa (in diverso
modo) hanno abbandonato l’Africa lasciandola a Cina (e in diversa misura)
Russia ma soprattutto lasciandola alla disperazione, se vuoi diritti e una vita
dignitosa scappa. Questo bambino che deve nascondersi in un carrello aereo per
raggiungere l’Europa mentre il caffè e il cacao della Costa D’Avorio viaggiano
senza trovare nessun muro, nessun confine, persino spesso nessuna ispezione è
il simbolo terribile dell’ignoranza del dibattito politico.
L’aeroporto da cui è partito l’aereo è
dedicato al primo presidente della Costa d’Avorio che costruì alla fine degli
anni 80 la chiesa più alta della terra spendendo in un Paese dove mancavano
ancora scuole, impianti idrici, modernizzazione degli ospedali, circa 300
milioni di dollari, ecco questo è un altro simbolo del passato africano che ne
determina il presente.
Dopo tutte le parole su questa tragedia
non vi è che una cosa da fare, fermarsi e ingoiare tutte le lacrime
possibili per sopportare lo schifo che siamo diventati manipolando le
parole, tradendo ogni significato, compiacendoci del nostro sarcasmo con
un semplice “è stato sempre così’.
Forse conviene solo tacere di
fronte a questo bambino morto di freddo per l’unica possibilità di
felicità che gli era stata data: scappare di nascosto.
Di Roberto Saviano
COMMENTO
Ho iniziato a scrivere un articolo su questo dramma, poi ho letto l’articolo di Roberto Saviano, mi è piaciuto molto perché ha espresso benissimo il mio dolore e la mia rabbia ed ho pensato di riportarlo integralmente.
Si chiamava Ani Guibahi Laurent Barthélémy e aveva 14 anni, il
ragazzino trovato morto mercoledì nel carrello di atterraggio di un aereo
proveniente da Abidjan, in Costa D’Avorio e diretto a Parigi. Un volo di circa
sei ore e mezzo.
In un’intervista al quotidiano Fraternité Matin, il
ministro Amadou Koné ha spiegato come nel video “si vede un
individuo che indossa una maglietta (…) Il ragazzino era riuscito a entrare
sulla pista scavalcando le recinzioni. Poi si deve essere nascosto nelle siepi
per infine correre ad afferrare il carrello di atterraggio dell’aereo proprio
al momento del decollo”. Una corsa che nessuno ha notato.
L’Europa è lontana ma un aereo può volare oltre la miseria, le bidonvilles,
il deserto e il Mar Mediterraneo. Un aereo può regalare un futuro che in patria
sembra non essere assicurato. Sono probabilmente questi i pensieri che si sono
affollati nella mente del bambino della Costa d’Avorio di circa dieci anni,
arrivato all’aeroporto internazionale di Abidjian per cercare “un ponte” per
l’Europa. Forse, in base alle prime ricostruzioni, è la complicità di qualcuno
che gli permette di superare i controlli aeroportuali. Vestito con abiti
leggeri, si avvicina ad un Boeing 777 dell’Air France in partenza per Parigi.
Si rannicchia nel carrello del velivolo. È uno spazio angusto, né riscaldato né
pressurizzato. Poi rullano i motori e l’aereo decolla.
Morire di freddo
Il Boeing prende poi quota fino a 10 mila metri di altitudine e le temperature scendono a-50°C. Oltre i 42 gradi sottozero il corpo non riesce più a termoregolarsi. L’ossigeno si consuma rapidamente e in queste estreme condizioni sono processi inevitabili ed inesorabili la febbre, la sudorazione, le convulsioni e lo svenimento. Gli ultimi pensieri del bambino ivoriano sono avvolti dal freddo, dalla solitudine, dal buio. Poi il suo corpo, ormai senza vita, raggiunge la Francia.
Speranze tradite
A Parigi è quasi l’alba e gli operatori dell’aeroporto Charles de Gaulle trovano nel carrello del Boeing 777 partito da Abidjian un fagotto irrigidito dal gelo. È un bambino nero, di circa dieci anni. Un “passeggero irregolare”, si legge in un comunicato della compagnia aerea. Il suo volto non ha un nome. Le sue speranze tradite sono invece comuni a quelle di tanti giovani africani che cercano un futuro diverso da quello che i loro Paesi possono offrire. Ed il suo drammatico caso è simile a quello di altri adolescenti africani, trovati morti nei carrelli degli aerei di linea.

GIOVANE IVORIANO, PER TE LA PACCHIA E’ FINITA!
Di Gianni ZANIRATO