Il recente decreto sulla sospensione delle attività produttive consente una riflessione sulla democrazia.
Erodoto, l’inventore della scienza storica (storia vuol dire “ricerca”) in un celebre passo della sua opera spiega la superiorità della democrazia.
Tre nobili, dopo avere sventato un colpo di stato dopo la morte del re Cambise, discutono di quale forma di governo dare alla Persia. Alla fine prevale Dario che, divenuto re, viene sconfitto dalla debole ma democratica Grecia. In realtà tutte le “Storie” di Erodoto sono un elogio della democrazia, l’unica forma di governo che possa fare in modo che ogni cittadino possa vedere rappresentati i propri interessi e le proprie opinioni.
La base della democrazia sta nell’equilibrio dei poteri. Si capisce come la composizione di questi sia estremamente complessa e come non basti il voto per garantire la rappresentanza (se così fosse, perfino la Russia di Putin sarebbe una democrazia).
In Italia la Costituzione ne individua tre fondamentali: l’Esecutivo (il Governo), il legislativo (il Parlamento) e il Giudiziario (la Magistratura). Garante dell’equilibrio tra i poteri è il Capo dello Stato.
A questi poteri si affianca un potere di fatto, quello degli strumenti di comunicazioni di massa (stampa, radio, Tv, social) la cui importanza nella formazione dell’opinione pubblica è evidenziata nel film “Quarto Potere” di Orson Wells (forse il più bel film di sempre).
Ancora esistono quelli che Tocqueville chiama i “corpi intermedi” della società. Non si tratta solo dei partiti ma anche di organizzazioni di cittadini che manifestano le proprie opinioni e difendono i loro interessi, dai numerosissimi comitati che nascono per un problema specifico alle organizzazioni delle mille categorie in cui è articolata la società.
Se l’equilibrio dei poteri costituzionali è una questione complessa, la composizione di interessi spesso contrapposti è una difficile arte. Pensiamo per esempio alla situazione di Taranto dove si scontrano due sacrosanti diritti: quello al lavoro e quello alla salute.
Questa stessa contraddizione è affrontata nel recente decreto per la lotta al coronavirus. Le due più grandi organizzazioni non governative si affrontano: Sindacati e Confindustria. I primi, giustamente, sono preoccupati dalla salute dei lavoratori e sostengono che la lista delle aziende che dovrebbero fermare la loro attività è troppo breve. Gli altri, preoccupati che il blocco dell’attività produttiva significa perdita di profitti, committenze e clientela, pensano che la lista sia troppo lunga.
Si capisce quanto sia stato difficile per il governo stabilire quali attività mantenere in funzione per garantire l’attività sanitaria, l’ordine pubblico, l’approvvigionamento delle famiglie, i servizi essenziali, ecc. Anche perché molto spesso i sistemi produttivi sono interconnessi e ciò che appare non essenziale potrebbe essere determinante per garantire attività indispensabili. Come se non bastasse, le decisioni devono essere prese in tempi molto brevi: un ritardo anche minimo può significare centinaia di contagiati e decine di morti in più.
La velocità nella decisione non può mortificare la dialettica democratica perché se no si rischia di tagliare la realtà con l’accetta e si cade inevitabilmente nelle oscillazioni alla Boris Johnson o alla Trump che creano danni, panico e disorientamento.
Solo la democrazia garantisce la partecipazione convinta di tutti gli italiani alla guerra in atto, anche perché, pur essendo straordinaria l’opera dei sanitari, l’arma vincente è l’impegno di ciascuno a rispettare le 10 regole di comportamento a partire dalla prima #iorestoacasa.
Si decida pure con velocità e con il massimo di ponderazione possibile ma poi si deve essere disposti ad ascoltare le parti sociali e a fare le opportune correzioni, chiamando anche ognuno alle proprie responsabilità (molti padroni non hanno garantito nemmeno la distanza di sicurezza e le mascherine).
Allo stesso modo, il governo deve ascoltare il Parlamento e le opposizioni.
Anche se fa sorridere vedere invocare la democrazia da Salvini (che voleva pieni poteri), dalla Meloni che guida un partito erede del MSI di Almirante (fascista e fucilatore di partigiani) e da Berlusconi che quanto a non garantire l’equilibrio dei poteri le ha provate tutte soprattutto per proteggere i suoi e sé stesso dalla Magistratura che, Dell’Utri insegna, agiva con ragione.
di Angelino Riggio