“IL LAVORO RENDE LIBERI”

          27-gennaio

Un cancello sovrastato dalla paradossale scritta ad arco “IL LAVORO RENDE LIBERI”, una serie di edifici in mattoni rosso scuro, il muro della morte, il museo con le teche piene di valigie, scarpe, bambole di pezza, capelli.., stanze con pareti interamente riempite di fotografie, nomi, numeri, e poi, in un altro edificio, due forni crematori, adiacenti ad una camera a gas.

A un paio di chilometri di distanza, un arrugginito binario si introduce in un’area, delimitata da filo spinato e spettrali lampioni, dove, proprio all’ingresso, domina un sinistro edificio con tanto di torretta centrale.

All’interno, il binario si biforca in corrispondenza di un largo piazzale, e all’estremità di uno dei due rami vi è un’installazione molto evocativa: il vagone di un treno merci.

Nelle vicinanze, baracche di legno, le poche ancora in piedi e, più distanziato, ciò che rimane (poche macerie) delle camere a gas e dei forni crematori ad esse annessi.

 Questo è lo scenario che si presenta a chi visita l’inferno in Terra, il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, la testimonianza del livello di malvagità a cui può arrivare l’essere umano.

Ammetto, con tutta sincerità, che non mi è possibile descrivere, senza correre il rischio di cadere nella retorica, le sensazioni provate durante la mia permanenza sul posto.

Una sovrapposizione di immagini, pensieri, domande.

Mi fermo, pertanto, ad una sola, ricorrente domanda: perché? Non riesco a immaginare possa esistere una risposta!

Posso, comunque, affermare di aver concluso la visita con una speranza, se non proprio una certezza.

La commossa partecipazioni della moltitudine di giovani e giovanissimi provenienti da tutto il mondo, mi è sembrata la cosiddetta luce al fondo del tunnel, il miglior antidoto possibile contro questa inarrivabile atrocità.

Alle nuove generazioni, dunque, si rivolga il nostro impegno, affinché sia 27 gennaio per 365 giorni all’anno.

A tale proposito, ringrazio idealmente Sami Modiano, Liliana Segre, e tutti coloro che hanno avuto (e hanno tuttora) la forza e il coraggio di diffondere le proprie testimonianze.

di Fulvio ZAMPEDRI

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