Si tratta di Di Bernardo e D’Alessandro accusati del pestaggio che ha poi portato alla morte il geometra.
Per l’accusa di falso, quattro anni a Mandolini e due anni e sei mesi per Tedesco.
Per quest’ultimo il pg aveva chiesto l’assoluzione hanno massacrato Stefano Cucchi.
Lo hanno fatto nel 2009, dentro una caserma dei carabinieri, sulla Casilina.
E adesso, dopo 12 anni da quei fatti, arriva la sentenza d’Appello del processo bis.
I carabinieri accusati del pestaggio, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, sono stati condannati a scontare 13 anni di reclusione perché colpevoli di omicidio preterintenzionale.
Mentre il collega Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia, dovrà scontare 4 anni di carcere per falso.
Confermata invece la condanna, esclusivamente per il reato di falso, del carabiniere Francesco Tedesco (2 anni e 6 mesi), divenuto un importante testimone per puntellare le accuse contro i colleghi.
Nel novembre 2019, per la morte del trentunenne romano i giudici di primo grado avevano condannato a 12 anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, mentre era stato assolto Francesco Tedesco dall’accusa di omicidio preterintenzionale, venendo condannato a due anni e sei mesi di reclusione solo per il reato di falso.
Mandolini invece era stato condannato a scontare 3 anni e 8 mesi di carcere.
Secondo le accuse Mandolini avrebbe falsificato il verbale d’arresto che fra le altre cose attestava un fotosegnalamento mai avvenuto.
Il sostituto procuratore Giovanni Musaró ha sempre ritenuto che quel verbale falsificato fu il primo atto del depistaggio, necessario per coprire il successivo pestaggio di cui fu vittima Cucchi.
“Stefano Cucchi fu portato in carcere perché il maresciallo Mandolini scrisse nel verbale di arresto che era un senza fissa dimora. Ma lui era residente dai genitori, senza quella dicitura forse sarebbe finito ai domiciliari e oggi non saremmo qui. Questo giochetto gli è costato la vita. Il verbale di arresto è il primo atto di depistaggio di questa vicenda, perché i nomi di Tedesco, Di Bernardo e D’Alessandro non sono nel documento”, aveva detto il pm nella sua requisitoria.
Secondo i magistrati Cucchi era già stato picchiato dai carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.
“In questa storia abbiamo perso tutti – aveva detto Cavallone nella sua requisitoria – Nessuno ha fatto una bella figura. Stefano Cucchi quel giorno doveva andare in ospedale e non in carcere. Credo che nel nostro lavoro serva più attenzione alle persone piuttosto che alle carte che abbiamo davanti. Dietro le carte c’è la vita delle persone. Quanta violenza siamo disposti a nascondere ai nostri occhi da parte dello Stato senza farci problemi di coscienza? Quanto è giustificabile l’uso della forza in certe condizioni? Noi dobbiamo essere diversi – aveva proseguito Cavallone – noi siamo addestrati a resistere alle provocazioni, alle situazioni di rischio”. Il pg, ricordando tra gli altri il caso della morte di Federico Aldrovandi, ha aggiunto che “le vittime di queste violenze sono i marginalizzate. In questa storia abbiamo perso tutti, Stefano, la sua famiglia, lo Stato”.
Hanno massacrato Stefano Cucchi.
Lo hanno fatto nel 2009, dentro una caserma dei carabinieri, sulla Casilina.
E adesso, dopo 12 anni da quei fatti, arriva la sentenza d’Appello del processo bis.
I carabinieri accusati del pestaggio, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, sono stati condannati a scontare 13 anni di reclusione perché colpevoli di omicidio preterintenzionale.
Mentre il collega Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia, dovrà scontare 4 anni di carcere per falso.
Confermata invece la condanna, esclusivamente per il reato di falso, del carabiniere Francesco Tedesco (2 anni e 6 mesi), divenuto un importante testimone per puntellare le accuse contro i colleghi.
Nel novembre 2019, per la morte del trentunenne romano i giudici di primo grado avevano condannato a 12 anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, mentre era stato assolto Francesco Tedesco dall’accusa di omicidio preterintenzionale, venendo condannato a due anni e sei mesi di reclusione solo per il reato di falso.
Mandolini invece era stato condannato a scontare 3 anni e 8 mesi di carcere.
Secondo le accuse Mandolini avrebbe falsificato il verbale d’arresto che fra le altre cose attestava un fotosegnalamento mai avvenuto.
Il sostituto procuratore Giovanni Musaró ha sempre ritenuto che quel verbale falsificato fu il primo atto del depistaggio, necessario per coprire il successivo pestaggio di cui fu vittima Cucchi.
“Stefano Cucchi fu portato in carcere perché il maresciallo Mandolini scrisse nel verbale di arresto che era un senza fissa dimora. Ma lui era residente dai genitori, senza quella dicitura forse sarebbe finito ai domiciliari e oggi non saremmo qui. Questo giochetto gli è costato la vita. Il verbale di arresto è il primo atto di depistaggio di questa vicenda, perché i nomi di Tedesco, Di Bernardo e D’Alessandro non sono nel documento”, aveva detto il pm nella sua requisitoria.
Secondo i magistrati Cucchi era già stato picchiato dai carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.
“In questa storia abbiamo perso tutti – aveva detto Cavallone nella sua requisitoria – Nessuno ha fatto una bella figura. Stefano Cucchi quel giorno doveva andare in ospedale e non in carcere. Credo che nel nostro lavoro serva più attenzione alle persone piuttosto che alle carte che abbiamo davanti. Dietro le carte c’è la vita delle persone. Quanta violenza siamo disposti a nascondere ai nostri occhi da parte dello Stato senza farci problemi di coscienza? Quanto è giustificabile l’uso della forza in certe condizioni? Noi dobbiamo essere diversi – aveva proseguito Cavallone – noi siamo addestrati a resistere alle provocazioni, alle situazioni di rischio”. Il pg, ricordando tra gli altri il caso della morte di Federico Aldrovandi, ha aggiunto che “le vittime di queste violenze sono i marginalizzate. In questa storia abbiamo perso tutti, Stefano, la sua famiglia, lo Stato”.
“Il nostro pensiero va ai magistrati Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e Giovanni Musaró. La giustizia funziona quando ci sono magistrati seri, onesti e capaci”, dice l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo.
“Il mio pensiero va ai miei genitori per il caro prezzo che hanno pagato in questi anni”, fa eco Ilaria Cucchi. Che aggiunge: “Questa sentenza riformata è un momento storico e per me di estrema emozione. Non avrei mai creduto di attivare fin qui”. “Devo ringraziare tante persone, a partire dall’avvocato Fabio Anselmo e la Procura di Roma nelle persone dell’ex procuratore Giuseppe Pignatone, dell’attuale procuratore Michele Prestipino e del sostituto Giovanni Musarò. Senza di loro non saremmo qui. Il mio pensiero va a Stefano, a tutti questi anni, a quanto ci sono costati, e ai miei genitori che non sono qui proprio per il prezzo che hanno dovuto pagare per questi anni di sofferenza”.
Cucchi, la sorella Ilaria: “Mi sembra impossibile, mi tremano le gambe: la giustizia esiste”
Un lungo abbraccio con l’avvocato Fabio Anselmo, legale e compagno nella vita.
Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, ha reagito così dopo la lettura della sentenza del processo d’appello sulla morte del fratello, che ha visto imputati quattro carabinieri: “Mi tremavano le gambe e non mi sembra ancora possibile: la giustizia esiste”, ha detto a caldo.
“Io non voglio la gente in carcere, a me interessa solo che sia stato confermato che Stefano non è morto di suo o di droga – ha aggiunto -. Il mio pensiero adesso va ai miei genitori che non sono qui oggi, ma hanno seguito il processo finché il loro fisico gliel’ha consentito. Hanno pagato un prezzo carissimo”.
“Senza ai procuratori Musarò, Pignatone e Prestipino non saremmo qua oggi. La giustizia esiste, ma avevamo bisogno di giudici e di magistrati seri”, ha concluso l’avvocato Anselmo.
COMMENTO:
Finalmente giustizia!
La battaglia della sorella Ilaria, donna straordinaria, si è conclusa con una netta vittoria. Una giovane donna si è impegnata per dimostrare che il fratello è stato ucciso.
Tantissimi di noi l’hanno appoggiata ma è lei che ha dominato la scena.
Donna coraggiosa e preparata.
É lei che ha guidato tutti noi, che ci ha dato la certezza che combattendo insieme avremmo raggiunto la verità.
Coloro che pensano che le donne non siano capaci ad affrontare i grandi problemi dovrebbero pensare a questa grande donna.
Grazie, Ilaria.
Gianni ZANIRATO