LA DONNA TORNI AD ESSERE INFERIORE, SUDDITA DEL PADRE O DEL MARITO…

Ecco un documento ufficiale dell’economista e studioso sociale Ferdinando Enrico Loffredo, uno dei più intraprendenti, ispiratori intellettuali della politica sociale e della famiglia del regime fascista. 

FERDINANDO LOFFREDO (ideologo del fascismo )

(“Politica della famiglia”, 1937)

«La donna torni a essere inferiore, suddita del padre o del marito…»

“La indiscutibilmente minore intelligenza della donna, e la sua maggio­re capacità analitica e di giudizio immediato che non sintetica e di pre­visione, le ha vietato di contemperare ed equilibrare i risultati tratti dai due campi di osservazione, di riflessione e di indagine, e le ha quindi impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione, definitiva e totale, si può trarre solo dalla famiglia, quanto più onestamente intesa, cioè quanto maggiore sia la serietà del marito, quella della moglie e quindi quella dei loro rapporti, sessuali in primo luogo, il pensiero della donna è allontanato dall’idea di un marito che sia soprattutto onesto e affezionato, di una ca­sa intesa come focolare domestico, dei figli; è sospinto dalla erudizione su un piano che la innata e, per altro verso necessaria, sentimentalità della donna trasforma in un pendio in fondo al quale l’idea della vita fa­miliare retta e della figliolanza numerosa diventa sempre più debole. (…)

«Il lavoro femminile crea nel tempo stesso due dan­ni: la “mascolinizzazione” della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell’uomo; concorre ad elevare sempre più il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un intoppo, un ostacolo, una ca­tena; se sposa, difficilmente riesce ad andare d’accordo col marito, e là dove il divorzio è possibile, finisce, prima o poi, per riacquistare la propria libertà – le statistiche dimostrano come il maggior numero di donne che divorziano sia dato dalla categorie delle impiegate; concorre alla corru­zione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe».

L’eguale diritto al lavoro, applicato in larghissima scala, ha condotto – in numerosi strati della popolazione – alla indipendenza economica della donna rispetto all’uomo, diminuendo in questi una supremazia che era di norma estrinsecata (inconsciamente o coscientemente) in modo da ri­solversi in un rafforzamento morale della famiglia; sia che si trattasse della moralità che il padre, le cui figlie erano debitrici di ogni cosa, pote­va ad esse imporre, sia che si trattasse della condotta del marito, unico so­stegno del bilancio familiare, poteva esigere dalla moglie. E ciò senza di­re delle conseguenze morali del lavoro in comune nelle officine e negli uffici, e di altri aspetti a tutti noti del lavoro femminile. (…)

Sarà invece fatale che il Fascismo affronti e risolva questo problema fondamentale nella creazione della nuova civiltà, realizzando la negazione teorica e pratica di quel principio di eguaglianza culturale fra uomo e donna che può alimentare uno dei più dannosi fattori della dannosissi­ma emancipazione della donna. Avvenuta tale negazione, in uno stato totalitario che intenda sfruttare tutte le possibilità di potenziamento del­la efficienza del popolo, la donna dovrà faticare, e molto, anche intellet­tualmente, per fornirsi di una preparazione adeguata ai compiti che lo sta­to fascista ad essa dovrà richiedere: non è esagerato affermare la neces­sità che si organizzino dei corsi di istruzione femminile non solo ele­mentari ma anche medi, e persino universitari, che, nell’interesse della na­zione, pongano la preparazione domestica della donna in armonia con il progresso realizzato nei vari campi della scienza che possono alimenta­re il perfezionamento dell’economia domestica. (…)

Però, l’abolizione del lavoro femminile deve essere la risultante di due fattori convergenti: il divieto sancito dalla legge, la riprovazione sancita dall’opinione pubblica. La donna che – senza la più assoluta e compro­vata necessità – lascia le pareti domestiche per recarsi al lavoro, la donna che, in promiscuità con l’uomo, gira per le strade, sui trams, sugli autobus, vive nelle officine e negli uffici, deve diventare oggetto di riprovazione, pri­ma e più che di sanzione legale. La legge può operare solo se l’opinione pubblica ne forma un substrato; questa, a sua svolta, può essere deter­minata da tutto un insieme di altre misure che indirettamente e insensi­bilmente operino sulla opinione pubblica. (…)

Il movimento contrario a quello di emancipazione della donna – i cui dan­ni, dal punto di vista demografico, soltanto chi è in malafede vorrà di­sconoscere -.si può, senza voler dare un carattere reazionario e coerciti­vo alla frase, definire come restaurazione della sudditanza della donna all’uomo. L’esperienza ha dimostrato che l’apporto dato dalla donna emancipata allo sviluppo della civiltà è negativo: l’emancipazione della donna, mentre non ha prodotto vantaggi apprezzabili nel campo delle scienze e delle arti, costituisce il più certo pericolo di distruzione per tut­to quanto la civiltà bianca ha finora prodotto; come la donna non eman­cipata era fattore indiretto di progresso, così la donna emancipata è fattore di arretramento di civiltà. (…)

La donna deve tornare sotto la sudditanza assoluta dell’uomo: padre o marito; sudditanza, e quindi inferiorità: spirituale, culturale ed econo­mica. Si tratta di sanzionare il principio, volerlo diffuso ad opera di tutti gli strumenti di circolazione delle idee, darne tutte le necessarie giustificazioni, suggestionarne la pubblica opinione; rafforzarlo mediante provvedi­menti quali: la modificazione dei programmi di istruzione femminile, il di­vieto della occupazione femminile, il divieto dello sport femminile (e la so­la autorizzazione a praticare l’educazione fisica scolastica), la severa san­zione degli affronti al pudore, alla modestia, ecc.”

Avvenimenti orrendi, e purtroppo non episodici, che avvengono con molta frequenza, mi portano ad una riflessione su quello che può fare la politica, quando sceglie al posto della ragione, la propaganda della presunta superiorità culturale, di razza, o di genere che sia.

di Giuseppe POGGIONI

2 comments Add yours
  1. Ho letto ben due volte alcuni passaggi, sono scioccata. Purtroppo nel 2021 sono ancora tanti a pensarla così ,una parte della nostra politica mi fa paura… E i continui episodi di violenza, razzismo e sottomissione ancora di più.

  2. In questo momento, dopo aver letto l’articolo, il mio pensiero è andata alla ragazza pakistana Aman quasi sicuramente uccisa dai familiari con l’aiuto o l’omerta’ dei suoi membri, uomini e donne.
    Ma anche a Franca Viola la ragazza siciliana che ebbe il coraggio di denunciare i suoi violentatori.
    Pensiamo per un momento a quanta forza molte donne hanno dovuto tirare fuori per vincere battaglie fondamentali della nostra democrazia.
    Ecco qui una differenza fondamentale tra una democrazia e una dittatura. I fascisti erano convinti che le donne fossero esseri inferiori, la nostra Costituzione parla a tutti noi. La nostra Costituzione non è eterna, é un regalo che non ci è stato regalato ma guadagnato con il sangue di tante donne e di tanti uomini.
    Per la ragazza pakistana e Franca Viola.
    Tutti i giorni dobbiamo combattere per la nostra democrazia con tante cose non ancora completamente conquistate. Tutti dobbiamo essere combattenti sempre in ogni momento. La democrazia è frutto fondamentale per la giustizia. Nulla, anche ciò che è stato conquistato, é eterno. Dobbiamo combattere ogni giorno. La nostra imperfetta democrazia è sicuramente migliore di ogni perfetta dittatura.
    Gianni ZANIRATO

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