UTOPIA

Nel linguaggio comune la parola utopia viene usata per indicare un sogno, una fantasia, una illusione, un ideale. Più spesso si usa per dire qualcosa di irrealizzabile.

Ma è proprio così?

L’Utopia è un breve scritto nel 1516 di Tommaso Moro in cui si immagina una società dove tutti devono lavorare, dove il governo è affidato ai saggi che hanno il dovere di consultare gli abitanti, dove i conflitti internazionali vengono risolti con la diplomazia, dove le donne sono uguali agli uomini, dove tutte le religioni sono ammesse e dove la punizione non è per gli eretici ma per gli intolleranti.

Alla lettera utopia vuol dire  ū ‘non’ e tópos ‘luogo’; cioè “luogo che non esiste”. E, in effetti, nessuna delle cose descritte nell’Utopia esisteva nell’Inghilterra né in nessun altro luogo del mondo di allora. L’utopia indica ciò che ancora non esisteva, non ciò che era impossibile. E infatti molte delle cose descritte da Moro, anche se lentamente e a fatica, si sono affermate o si stanno realizzando segnando il progresso del vivere civile.

Moro era tutt’altro che un visionario. Era un ministro della Corona, un uomo concreto che dimostrò, numeri alla mano, che la pena di morte per i ladri era inutile (oltre che inumana) perché la sua introduzione aveva portato all’aumento e non alla diminuzione dei furti.

Tommaso Moro era un politico dalla “vista lunga”. Per poterlo essere non bisogna rinunciare agli ideali, ma partire da questi. Sognare è indispensabile per l’uomo.

Non è sbagliato sognare, avere ideali. E’ sbagliato non impegnarsi per realizzarli, non studiare la realtà, non conoscere le forze in campo, non spiegare agli altri le nostre convinzioni, non metterle onestamente in discussione, non costruire un progetto comune per cambiare, lentamente se si vuole ma per tendere a ciò che riteniamo giusto. 

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