Trump rassomiglia molto a Berlusconi.
E’ molto ricco, anche se la sua ricchezza è costruita in modo opaco e con qualche problema con il fisco. Ha un partito personale (di fatto si è impadronito del Partito Repubblicano contro il partito stesso). Ha inserito nella squadra di governo uomini del suo stretto entourage (parenti, organizzatori della campagna elettorale) indipendentemente dalla loro capacità come aveva fatto Berlusconi con gli uomini di Mediaset, dei suoi avvocati e dell’immancabile Dell’Utri. Ha diversi guai giudiziari. Come il nostro Cavaliere che ha avuto rapporti con personaggi condannati per mafia, Trump ha frequentazioni impresentabili: per esempio è in buoni rapporti con il Ku Klux Klan (“non avevo niente da rimproverargli fino a quando ho scoperto che fumavano marijuana”). Condividono ancora il populismo, il cinismo, i conflitti di interesse…
Si potrebbe continuare a lungo ma una cosa fa un’enorme differenza: Trump è a capo della Nazione più potente al mondo. Se si poteva scherzare sulle corna che Berlusconi faceva ai summit internazionali, c’è molto da temere per ogni gesto del tycoon d’oltre atlantico.
Per esempio quando Trump dice di volersi ritirare dal Trattato di Parigi sul Clima (tecnicamente non l’ha ancora fatto per motivi di scadenze), lancia un messaggio pericoloso per il futuro dei nostri figli e nipoti. Infatti, se il Paese più inquinante del mondo decide di ignorare il riscaldamento globale, perché dovrebbero impegnarsi gli altri Paesi? E’ di oggi la notizia che Nuova Delhi ha superato il limite di polveri sottili di 90 volte: nei giorni di chiusura del traffico a Torino era stato di due volte.
Allo stesso modo, preoccupa molto la gestione della crisi con la Nord Corea. Invece che avere un ruolo di stabilizzazione gli USA rischiano di portare il mondo verso un disastro nucleare.
Il dialogo fra Kim Jong-un e Trump è diventato uno scontro fra bulli.
Non c’è da stupirsi se al suo arrivo a Seul, il Presidente americano è stato accolto da manifestazioni ostili. Secondo un sondaggio solo il 38% dei sudcoreani pensa che Trump possa aiutare la pace, mentre il 57% lo teme. In una eventuale guerra, chi rischia di più è la Sud Corea: Seul dista trenta chilometri dal confine.
La Sud Corea è una delle cosiddette “tigri asiatiche” con una grande capacità di esportazione e la bilancia commerciale tra i due Paesi è sfavorevole agli Stati Uniti. Nella sua visita Trump ha insistito con il leader sudcoreano, il pacifista Moon Jae-in, perché il suo Paese acquisti armamenti più potenti con la scusa della difesa contro PyongYang ma con un intento economico che traspare dalle sue stesse parole: “ abbiamo le più grandi dotazioni militari del mondo e la Corea del Sud ordinerà miliardi di dollari di equipaggiamenti, che per loro ha molto senso e per noi vale più posti di lavoro e il calo del deficit commerciale.”
Già, il deficit commerciale.
La cosa che preoccupa di più i sudcoreani non è la guerra militare con Pyongyang, ma quella commerciale con gli USA che potrebbe portare a una riduzione delle esportazioni verso gli Stati Uniti, rovinando una economia prospera. Questa è l’arma più importante, e non la corsa agli armamenti, per convincere i nordcoreani a liberarsi del loro regime come è avvenuto tra la Germania dell’Ovest e quella dell’Est che portò alla caduta del Muro di Berlino.
A proposito di muri, che a lui piacciono tanto, Trump non ha potuto visitare la Zona Demilitarizzata, per il cattivo tempo o perché il leader della Sud Corea Moon voleva evitare un gesto che sarebbe apparso provocatorio. La zona, posta intorno al 38° parallelo, delimita le due Coree ed è una delle nefandezze che la Seconda Guerra Mondiale ci ha lasciato in eredità e che divide una terra unita per millenni e due popoli che avrebbero solo vantaggi a mettere insieme risorse e apparato produttivo.
di Angelino RIGGIO