Il frequente ritorno nella mia vita dell’argomento, che ho esposto nella mia tesi di laurea, è stato il principale motivo che mi ha spinta ad approfondirlo. Da sempre, ho sentito parlare dai miei nonni dei briganti, proverbi e modi di dire che facevano riferimento ad essi come: “A brigante, brigante e mezzo”, per intendere che, alle maniere disoneste degli avversari occorre fare altrettanto ed anche di più, oppure “Fare la fine dell’esercito di Franceschiello”, per deridere di un insuccesso così come per anni si fece per l’esercito di Francesco II. Nel nostro Meridione è molto viva la tematica, ma non sempre chiara, inoltre quando se ne parla, specialmente nei più anziani che narrano i ricordi dei loro cari, si riaprono antiche piaghe che riportano alla luce anche antichi sdegni.
Ho cercato di far emergere ciò che la storia ci propone attraverso i testi e ciò che, invece si nasconde tra le ombre di una finestra socchiusa: verità sconosciute a tanti o delle quali si preferisce non parlare, perché alquanto scomode. Aldilà della parte storica, nota a tutti, ho dato molta attenzione alla figura del brigante, attorno alla quale vi sono tanti misteri e anche tante leggende. Sono emersi aspetti curiosi ma anche conturbanti riguardo alla loro quotidianità che a volte hanno urtato anche la mia sensibilità. Molti punti trattati sono stati per me una scoperta, come la presenza della figura femminile in questo fenomeno. Ho ampiamente esposto il ruolo della donna dell’epoca e mi ha particolarmente colpita la forza e il coraggio delle brigantesse nel difendere la loro terra, i loro diritti e i loro sentimenti perché tante si unirono alle bande per sfuggire alle ingiustizie, alle violenze e per amore dei loro uomini.
La reperibilità delle fonti, non sempre è stata semplice, soprattutto nella trattazione di tematiche care all’Altra storia affrontate nell’ultima parte del mio lavoro. E’ senza dubbio la parte che più mi ha segnata e che mi ha portata a condividere alcuni pensieri esposti dallo scrittore Pino Aprile in “Terroni”, il quale come tanti ha scoperto cos’è stato il Risorgimento italiano:
“Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto…
E cancellarono per sempre molti paesi…
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico…
Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure il diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma…
Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di “Tamerlano, Gengis Khan e Attila”…
Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantanamo…da noi centinaia di migliaia di briganti per definizione, perché meridionali. E se bambini briganti precoci…
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio Paese invaso.
Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.
Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gl’italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gl’italiani del Sud, a migliaia, forse a decine di migliaia, (non si sa perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.
Ignoravo che il Ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni una “landa desolata” in Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per depositarvi i meridionali e annientarli lontano dagli occhi indiscreti.
Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costruire immensi patrimoni privati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla Massoneria (detto da Garibaldi, sino al Gran Maestro Armano Corono, nel 1988).
Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso). …Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi speciali, stati d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a farci smettere di preferire la morte al paradiso, scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)? …”[1]
La letteratura, sicuramente ha fornito un importante contributo per capire molti aspetti dell’epoca. Ripensiamo al piemontese Carlo Levi che giunto in Lucania, in provincia di Matera, vi lasciò il cuore e lì si fece seppellire perché aveva compreso le vere motivazioni che avevano portato alla nascita del brigantaggio.
Ripensiamo alla terribile vita che conducevano nelle solfatare i “carusi”: Pirandello ce ne dà un’ampia descrizione nelle sue opere. Dunque…non tutto luccicava.
Inquietanti le parole di Antonio Gramsci, il quale in un articolo dell’epoca aveva definito lo Stato italiano come una feroce dittatura, che oltre a fucilare e a squartare, seppelliva vivi, poveri contadini e scrittori.
Il quadro che si è delineato in seguito a questo mio lavoro di ricerca mi ha permesso di concludere che molto probabilmente l’assenza delle fonti al riguardo non è del tutto casuale ma frutto di scelte dei politici di allora. Il fenomeno del brigantaggio fu di una portata molto più vasta di quanto possiamo immaginare. Molte memorie prodotte dai militari sono state distrutte per paura di possibili reazioni dell’opinione pubblica e per timore di dover dare spiegazioni sulle scelte attuate dal governo.
Oggi a distanza di tanti anni, qualcosa si sta muovendo. In tanti ripensano e riflettono.
Un piccolo passo, ma molto significativo è stato compiuto nella città di Vibo Valentia, dove alla piccola “brigantessa” siciliana Angelina Romano, fucilata da soldati piemontesi è stata dedicata una via che precedentemente era intitolata al generale Cialdini. Sarebbe bene ricordare sui libri di scuola la piccola Angelina, in quella scuola che non poté mai frequentare. E’ solo l’inizio di un lungo percorso che si prefigge di ricordare e commemorare le vittime innocenti di questa Unità.
In questa direzione ho voluto inserire il mio lavoro, un piccolo contributo alla ricerca e alla scoperta di verità che, forse, riusciranno a farsi spazio e ad aprire, appunto, una finestra socchiusa. Solo allora si farà luce su quella parte di terra a me cara restituendo onore, dignità e giustizia a delle figure che per molto tempo sono state viste solo dal loro lato peggiore ma, che ancora oggi, con la stessa forza che le ha caratterizzate in passato cercano il proprio riscatto morale, sociale e storico.
di Concettina Incoronata CASTELLITTI