L’occupazione di Palazzo Campana: 17 Novembre 1967.
Per me il ’68 incominciò così. Quel pomeriggio eravamo andati, il mio amico Sergio ed io, a iscriverci a un corso di paracadutismo. L’impiegato stava chiudendo e ci disse di passare il giorno dopo. L’indomani mattina però mio fratello mi svegliò per dirmi che dovevamo fare il picchetto al “Cannizzaro”. Era il liceo dove mi ero appena diplomato e mi piaceva ritornarci in quel modo. Lo sciopero riuscì e organizzammo un corteo che, man mano che attraversava la città, si univa ad altri cortei. Marciammo così sulla Facoltà di ingegneria dove ci fu una affollatissima assemblea. Molti non riuscirono a entrare e attesero che uscisse l’incaricato per leggere il “documento” che dichiarava i motivi, le rivendicazioni e le intenzioni del nostro movimento.
Erano gli stessi che sarebbero stati ripetuti in migliaia di posti nel mondo: la contestazione di ogni autorità, della scuola di classe, della cultura ufficiale, del potere economico, del lavoro alienato, dei divieti in famiglia, del potere politico, delle discriminazioni dovute alla ricchezza, al sesso, alla religione, al colore della pelle.
Fu un movimento che attraversò ogni Paese ed ebbe le più ampie (anche se più brevi) espressioni nel Movimento tedesco di Rudy Dutscke e nel Maggio Francese con Daniel Cohn Bendit nel 1968.
Ma tutto era nato cinquanta anni fa dall’occupazione della vecchia sede delle facoltà umanistiche dell’Università di Torino, Palazzo Campana. Questo diede il via alle manifestazioni studentesche che diventarono inarrestabili dopo la battaglia di Valle Giulia a Roma. Molti, e con buona ragione, individuano in quel momento (e quindi ben prima del Maggio Francese) la nascita del movimento che passò alla storia come il ’68.
Come però ci ha insegnato il corso di quest’anno della scuola di formazione politica (Rivoluzioni) non esistono eventi ma processi. Quello che viene indicato con una data sfuma in episodi che portano indietro nel tempo e continua in altrettanti che seguono di molto quel momento.
Prima dell’occupazione di Torino ci fu quella della facoltà di Sociologia a Trento (Marzo ’67). Andando ancora indietro, possiamo arrivare ai fatti di Berkeley (1964) raccontati nel film “Fragole e Sangue”. E la stagione del ’68 continua oltre quell’anno fino a lambire gli anni ’80.
Una stagione che attraversò tutti i Paesi Occidentali e in parte quelli Orientali, visto che due eventi internazionali (la guerra nel Vietnam e la repressione russa della Primavera di Praga) segnarono il declino del dominio bipolare USA-URSS, che era anche un dominio politico culturale caratterizzato dall’equilibrio del terrore.
Non a caso, i riferimenti culturali di quel periodo venivano semplificati come Ma-Ma-Ma: veniva recuperato Marx coniugato con Marcuse (“L’uomo a una dimensione”) per contrastare l’alienazione economica e sociale e si cercava nella rivoluzione culturale cinese di Mao Tse Tung una alternativa all’ormai evidente degenerazione in spietata dittatura imperialista del socialismo sovietico.
Ma si leggeva di tutto: Sartre, Camus. Pasolini, Brecht, Ionesco… La nascita dei tascabili (come gli Oscar Mondadori) aveva permesso una diffusione della cultura come mai prima. Alcune riviste di analisi politica, prima lette da pochissimi, divennero strumenti indispensabili: Potere operaio, Lavoro Politico, Quaderni Rossi, Classe operaia, Aut aut, Quaderni Piacentini.
Nelle Università e nelle aule occupate si facevano i seminari su “Lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani.
Il contagio sociale fu presto immediato: i giovani operai provenienti dal Sud e addetti alle catene di montaggio vivevano sulla propria pelle l’alienazione economica e sociale. Gli scioperi si susseguivano per affermare la dignità operaia e nelle fabbriche nacquero i consigli di fabbrica per sostituire le obsolete e inefficaci rappresentanze sindacali. L’autunno caldo del 1969 trasformò il ’68 in una lunga stagione di cambiamenti che portarono alla conquista di diritti e a storici cambiamenti: lo Statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale, la vittoria nel referendum sul divorzio, la legge sull’aborto.
A queste ultime vittorie contribuì in modo fondamentale un movimento femminista di una forza quale non si era mai visto nella storia, che si accompagnava a importanti fenomeni come la diffusione di massa della pillola anticoncezionale, della minigonna, della libertà sessuale, ecc.
Infatti il ’68 fu anche un importante fenomeno di costume. La musica rock fu la colonna sonora di quegli anni: non solo i Beatles e i Rolling Stones o i Pink Floyd ma soprattutto Joan Baez e Bob Dylan. Si guardavano i film di denuncia come quelli di Elio Petri (Indagini su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in Paradiso, A ciascuno il suo, ecc.).
Fu però anche, come dice il film su Berkeley, un periodo di “Fragole e sangue”. Fu il periodo delle repressioni nelle piazze come della diffusione della droga. Fu l’epoca delle Stragi di Stato (Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, l’Italicus, il treno 904, la stazione di Bologna) come quello cupo del terrorismo.
Personalmente ricordo i mille cortei, l’odore della colla per i manifesti, l’occupazione dell’Istituto di Chimica, le assemblee nell’Aula Magna a Medicina, l’aiuto ai terremotati della Valle del Belice, i sit in per il Vietnam, le manifestazioni per la libertà di Padrut* (ben prima del ’68), l’occupazione del Teatro dei 172, I pugni in tasca di Bellocchio, La battaglia di Algeri di Pontecorvo, il San Francesco con Lou Castel, Blow up di Antonioni, la vita nella Comune, i comizi col megafono ai Cantieri Navali di Palermo, i picchettaggi alla Fiat di Bari, i volantinaggi ai cancelli di Mirafiori, le perquisizioni della polizia nel cuore della notte, il manifesto di Malcom X, le parole di Martin Luther King, e mille e mille altre cose. Forse troppe.
Si dice che un uomo diventa vecchio quando i suoi ricordi sono più dei suoi progetti futuri.
My generation, una bellissima canzone di quell’epoca diceva: “I hope i die before get old” (spero di morire prima di diventare vecchio). Ecco io spero di morire prima di restare senza progetti e ideali.
Per fortuna di progetti ne ho ancora tanti: la Scuola di formazione politica, la libreria “Il Cammello”, il giornale piazzadivittorio, il Circolo della Poesia e quello degli Autori, i miei libri (quelli che leggo e quelli che scrivo), ecc.
Per il momento non corro rischi.
di Angelino RIGGIO
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*segretario della Fgci di Palermo arrestato nel 1967 durante una manifestazione per il Vietnam
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