Tutti i commentatori sono d’accordo nel definire questa campagna elettorale come la più sgangherata della storia repubblicana. Certamente alla base c’è una legge elettorale costruita con molta stupidità e con un pizzico di masochismo perché il partito che l’ha fortemente voluta (ha fatto mettere la fiducia da Gentiloni) ha altissime probabilità di perdere.
C’è poi il metodo che inseguono un po’ tutti i partiti di fare promesse più o meno mirabolanti che non tengono conto delle prospettive al ribasso dell’economia anche per effetto della fine del quantitative easing (e purtroppo della presidenza di Draghi alla BCE).
Come se non bastasse, in una campagna senza idee, si inseguono i fatti di cronaca per darne una lettura che catturi le emozioni (non i ragionamenti!) della gente.
Da ultimo la gara è a spiegare come gli altri sono peggio e, se si è beccati, ci si consola dicendo che gli altri sono come minimo uguali.
Di fronte a questo spettacolo desolante, ho conosciuto molte persone che vorrebbero non andare a votare.
Sarebbe un gravissimo errore.
In primo luogo, votare è un dovere costituzionale per concorrere a costruire l’indirizzo della Nazione. E’ anche un diritto costituzionale, costato decenni di lotte, con cui esercitiamo il nostro pezzo di potere.
Non votare inoltre fa aumentare il peso specifico del voto clientelare con cui si sostiene la cattiva politica.
In terzo luogo, ed è la cosa più interessante, con queste elezioni si chiude una fase storica, quella del bipolarismo. Da 20 anni ci eravamo abituati a una contrapposizione tra destra e sinistra, tra Berlusconi e Prodi. Il metodo precedente garantiva un vincitore ma costringeva ad alleanze larghissime, eterogenee e fragili. Con la nascita del PD e del PdL, il problema delle coalizioni veniva risolto ma questo costringeva a votare un partito, anche se non ci si identificava per nulla, per impedire la vittoria dell’altro. Questo, unito alla incapacità della politica di affrontare la crisi, ha portato a una sfiducia crescente. Quando Berlusconi ha lasciato l’Italia sull’orlo del disastro (lo spread di novembre 2011 a 574!) ed è sopraggiunto il Governo Monti con le sue misure di risanamento ma fortemente antipopolari, il Movimento 5stelle ha raccolto il malcontento divenendo il primo partito. La coesistenza di tre forze più o meno equivalenti ha fatto saltare il bipolarismo.
STIAMO TORNANDO A UN SISTEMA PROPORZIONALE.
Questo significa molte cose.
Innanzitutto che i partiti possono promettere qualsiasi cosa perché potranno sempre dire che non possono realizzarla perché sono costretti ad allearsi.
Vuol dire anche una cosa buona per gli elettori perché potranno fare a meno di turarsi il naso e votare per forza uno schieramento. Si può insomma scegliere il partito a cui ognuno si sente più vicino.
Vuol dire soprattutto che la formazione di una maggioranza e quindi del governo dipenderà dalla trattativa fra i partiti.
In queste trattative sarà determinante il partito che occuperà il centro della scena politica. Come negli scacchi, chi occupa il centro della scacchiera, ha in mano le sorti del gioco. Il sistema italiano si è retto per 50 anni con un enorme partito di centro, la Democrazia Cristiana, non a caso definita la balena bianca. Questo partito, di volta in volta, sceglieva con chi allearsi per formare maggioranza e governo.
Secondo alcuni sondaggisti, la situazione del dopo-voto sarà questa:
- Il PD, grazie al voto a perdere dei mini-partiti della sua coalizione, avrà il maggior numero di parlamentari.
- I Cinquestelle saranno il partito con più voti
- Berlusconi sarà il leader della coalizione più forte.
Io non so quanto sia reale questa previsione, è certo però che c’è da parte di questi tre soggetti politici una corsa verso il centro.
Questo spiega le conversioni a U di Di Maio (sull’Europa, i vaccini, le alleanze)
Spiega l’insistenza con cui Renzi ha accompagnato alla porta quelli che lo potevano infastidire (Letta, Civati, Fassina), il sollievo con cui ha salutato la scissione di Bersani e Speranza, la brutalità con cui ha candidato solo i suoi fedeli lasciando fuori la minoranza (perfino Cuperlo!).
E Berlusconi? Berlusconi è un probabile vincitore riluttante. Certo è golosa l’occasione di vincere dopo che era politicamente morto e con il Patto del Nazareno è rinato. Ma vincere senza potere essere in gioco (e nemmeno eletto) avendo nel proprio campo un leader riottoso come Salvini non è tranquillizzante né per lui né per il partito popolare europeo che è il referente politico dei suoi interessi economici in Europa. E’ molto più conveniente un accordo con il PD da una posizione di forza e quindi sbarrando a Renzi la possibilità di rappresentare tutti i moderati.
Lo scenario che si prefigura dalle risultanze dei sondaggi, sia sulle intenzioni di voto sia sulla previsione che circa sedici milioni di elettori potrebbero disertare le urne, non è un destino segnato e ineluttabile. Se fosse così potremmo fare a meno di andare a votare. Ma c’è ancora il 4 marzo; c’è ancora il diritto di voto! Un diritto che la nostra Costituzione definisce e raccomanda come “dovere civico”. Lo ha ricordato il Presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno: “Le elezioni aprono, come sempre, una pagina bianca: a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il Parlamento. A loro sono affidate le nostre speranze e le nostre attese. Mi auguro un’ampia partecipazione al voto e che nessuno rinunzi al diritto di concorrere a decidere le sorti del nostro Paese.”
Se anche solo una parte dei sedici milioni di dichiarati astenuti raccogliesse l’invito e ciascuno scegliesse il partito che più lo rappresenta, il 5 marzo potrebbe essere un altro giorno.
di Angelino RIGGIO