SACCO, VANZETTI E JOAN BAEZ

Il secolo che ci siamo lasciati alle spalle appena sette anni fa è stato brillantemente descritto dallo storico britannico Eric Hobsbawm “il secolo breve”. Una definizione forse più esatta, però, sarebbe “il secolo compresso”, perché mai un periodo di 100 anni ha visto così tante guerre mondiali, così tanti progressi scientifici e tecnologici, così tante rivoluzioni, così tanti eventi epocali ammonticchiati l’uno sull’altro. Il secolo passato sembra come una valigia troppo piccola per contenere tutto quello che è successo: è troppo piena di vestiti vecchi, e ce ne sono alcuni che ci impediscono di chiuderla e metterla via in soffitta una volta per tutte. Uno di questi è il caso di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Nel secolo trascorso, milioni di uomini e donne sono morti in guerre, epidemie, genocidi e persecuzioni, e purtroppo la loro memoria corre serissimo rischio di scomparire. 

Eppure la morte di Sacco e Vanzetti sulla sedia elettrica 80 anni fa, così come la morte di John e Robert Kennedy sotto i proiettili dei killer, sono destinate a rimanere nella nostra mente. 


Forse perché, come per i fratelli Kennedy, troviamo ancora difficile accettare le ragioni, o la mancanza di ragioni, della loro morte. E in Italia, dove l’omicidio insensato (o fin troppo sensato) è stato per lungo tempo un elemento del panorama politico, questo disagio lo si avverte con asprezza. 

Nel caso di Sacco e Vanzetti, sembrò subito chiaro a molti, in Europa e negli Stati Uniti, che il loro arresto, nel 1920 – inizialmente per possesso di armi e materiale sovversivo, poi con l’accusa di duplice omicidio commesso nel corso di una rapina nel Massachusetts – i tre processi che seguirono e le successive condanne a morte erano pensati per dare, attraverso di loro, un esempio. E questo nonostante la completa mancanza di prove a loro carico, e a dispetto della testimonianza a loro favore di un uomo che aveva preso parte alla rapina e che disse di non aver mai visto i due italiani. 

La percezione era che Sacco, un calzolaio, e Vanzetti, un pescivendolo, fossero le vittime di un’ondata repressiva che stava investendo l’America di Woodrow Wilson. In Italia, comitati e organizzazioni contrari alla sentenza spuntarono come funghi non appena essa fu annunciata. Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici. Eppure, quando Sacco e Vanzetti furono giustiziati, il più grande quotidiano italiano, il Corriere della sera, non esitò a dedicare alla notizia un titolo a sei colonne. In bella evidenza tra occhielli e sottotitoli campeggiava un’affermazione: “Erano innocenti”. 

Non c’è probabilmente un solo quotidiano italiano che non abbia dedicato un articolo a questo caso, ogni 23 agosto, dal 1945 a oggi. 

Nel 1977 fu dato grande risalto alla notizia che Michael Dukakis, all’epoca governatore del Massachusetts, aveva riconosciuto ufficialmente l’errore giudiziario e aveva riabilitato la memoria di Sacco e Vanzetti. 

In Italia, la loro storia diventò il soggetto di uno spettacolo teatrale, che ebbe grande successo prima di venire trasformato, nel 1971, in un bellissimo film, diretto da Giuliano Montaldo, con splendide interpretazioni e una colonna sonora di Ennio Morricone, che comprendeva anche canzoni di Joan Baez. (Anche l’album di Woody Guthrie, Ballads of Sacco and Vanzetti, del 1960, ebbe un grande successo in Italia.). E nel 2005, la Rai, la televisione pubblica italiana, ha prodotto un lungo programma sui due italiani giustiziati. (Stranamente, per qualche ragione, la Rai non ha mai trasmesso, nonostante ne abbia acquisito i diritti molto tempo fa, The Sacco-Vanzetti Story, un film per la televisione girato nel 1960 da Sydney Lumet.) 

E adesso un sito italiano ospita una vivace discussione sul caso dei due anarchici. Uno dei tanti partecipanti al dibattito scrive: “L’unica colpa di quei poveracci era di lottare contro il razzismo e la xenofobia”. 

E un altro: “Che cosa è cambiato? La pena di morte in America esiste ancora, certe volte perfino per degli innocenti, e il razzismo e la xenofobia sono in aumento”. E un terzo: “È impossibile fare paragoni fra quel periodo e questo. Oggi i tribunali fanno errori, errori gravi, ma comunque errori, mentre allora fu commesso un omicidio bello e buono, a fini esclusivamente politici. E anche se il razzismo è ancora vivo e vegeto negli Stati Uniti, sono stati fatti grandi passi avanti”. Infine, una conclusione: “Fu una faccenda sporca in un’epoca difficile”. 

Una faccenda sporca davvero se gli italiani, solitamente indulgenti verso la terra che ha accolto così tanti loro concittadini bisognosi che partivano emigranti, ci si soffermano ancora, dopo tutti questi anni. Il dibattito, a quanto sembra, è tuttora in corso. Un segnale, forse, che la ferita non si è ancora cicatrizzata. E che ancora, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a chiudere quella valigia.

di ANDREA CAMILLERI  Copyright The New York Times Syndicate. Traduzione di Fabio Galimberti 

JOAN BAEZ

 

La grande cantante in questi giorni è in Italia per l’ultimo suo concerto

Nasce nel 1941 a New York. Sin da ragazza dimostrò il suo convinto pacifismo e l’amore per la musica. La famiglia si trasferì a Boston dove Joan studia teatro alla Boston University. Si iscrive all’università e comincia a suonare e cantare nei caffè di Boston, nei college e poi nelle sale da concerto lungo la East Coast, conquistando folle sempre più grandi grazie al suo mix tutto speciale di musica folk tradizionale americana e testi dai contenuti fortemente rivolti al sociale.

Nel 1960 esce il suo primo disco: una raccolta di canzoni tradizionali di vari stati. Ad un concerto incontra, il futuro premio Nobel, Bob Dylan. Con lui avrà una storia d’amore, li accomuna moltissimo la passione per la musica impegnata.

Partecipa a manifestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam e fonda l'”Istituto per lo Studio della Non Violenza”. L’atteggiamento critico della cantante nei confronti dello Stato la porta a non pagare le tasse, dichiarando apertamente di non voler contribuire alle spese belliche, una “causa sociale” che le costerà non poche grane, inclusa la detenzione in carcere.

Joan diventa simbolo della protesta contro tutte le ingiustizie e le guerre (le ingiustizie maggiori). Diviene conosciuta come cantante in America ma anche in Europa. Nel 1966 viene arrestata durante un picchettaggio al centro di reclutamento reclute. Cominciano a circolare accuse di antiamericanismo nei suoi confronti e viene controllata dalla CIA.

Partecipa nel 1969 al grande concerto di cultura alternativa d’America: Woodstock. Nel 1970 suona all’Arena di Milano ottenendo vasti consensi del pubblico giovanile. Si sposa con David Harris militante del movimento pacifista. David si rifiutò di vestire la divisa e combattere in Vietnam e passerà la maggior parte dei primi anni di matrimonio in carcere.

Nel dicembre del 1972 si ferma ad Hanoi (Vietnam del Nord) quasi “scudo umano”, perché la città è soggetta a continui bombardamenti da parte delle forze americane (“bombardamenti di Natale”). Lascia il Vietnam, torna in America ed incide un album ispirato alla sua esperienza in Vietnam intitolato “Where are you now my son?”.

1993 viaggia nella ex Jugoslavia per stare vicino alle sofferenze della popolazione. Joan Baez è la prima artista a esibirsi a Sarajevo dallo scoppio della guerra civile.

Nel 2005 partecipa in Texas al movimento di protesta pacifista avviato da Cindy Sheehan, il mese successivo canta Amazing Grace durante il “Burning Man Festival” come parte di un tributo alle vittime dell’uragano Katrina e nel dicembre 2005 partecipa alla protesta contro l’esecuzione di Tookie Williams. L’anno seguente va a vivere su un albero in un parco collettivo assieme a Julia Butterfly Hill: in questo luogo – di 5,7 ettari – dal 1992 circa 350 immigrati latino-americani vivono coltivando frutta e verdura. Lo scopo della sua protesta è contro lo sfratto degli abitanti per abbattere il parco in vista della costruzione di uno stabilimento industriale.

La cantante si schiera apertamente contro l’invasione USA dell’Iraq. Durante i due mandati di George W. Bush apre tutti i suoi concerti fuori dagli Stati Uniti (ogni volta nella lingua locale) con questa frase:

Chiedo scusa per quello che il mio governo sta facendo al mondo”.

Nel 2007 si esibisce, assieme all’italiano Vinicio Capossela, nell’evento Live for Emergency in Piazza San Marco a Venezia, per sostenere Gino Strada ed Emergency. In questi giorni canta in Italia e ha dichiarato che non canterà più per problemi alla gola.

Nel 1971 esce il film capolavoro “Sacco e Vanzetti” di Giuliano Montaldo; le canzoni della colonna sonora vengono affidate a Joan Baez. Lei non conosceva il dramma dei due anarchici italiani, glielo raccontarono. Joan pianse a lungo e tutta la sua angoscia e dolore furono trasferiti nelle due canzoni della colonna sonora. Ho sentito mille volte “The Ballad off Sacco and Vanzetti, Part Two” ma continuo a provare la pelle d’oca tutte le volte che la sento cantata da Joan Baez. Seguiamo anche il testo in italiano:

LA BALLATA DI SACCO E VANZETTI, SECONDA PARTE

Sì Padre, son carcerato
Non aver paura di parlare del mio reato
Crimine di amare i dimenticati
Solo il silenzio è vergogna.

Ed ora ti dirò cosa abbiamo contro di noi
Un’arte che è stata viva per secoli
Percorri gli anni e troverai
cosa ha imbrattato tutta la storia.

Contro di noi è la legge con la sua immensa forza e potere
Contro di noi è la legge!
La Polizia sa come fare di un uomo un colpevole od un innocente
Contro di noi è il potere della Polizia!
Le menzogne senza vergogna dette da alcuni uomini
saranno sempre ripagate in denari.
Contro di noi è il potere del denaro
Contro di noi è l’odio razziale ed il semplice fatto
Che siamo poveri.

Mio caro padre, son carcerato
Non vergognarti di divulgare il mio reato
Crimine d’amore e fratellanza
E solo il silenzio è vergogna.

Con me ho il mio amore, la mia innocenza, i lavoratori ed i poveri
Per tutto questo sono integro, forte e pieno di speranze.
Ribellione, rivoluzione non han bisogno di dollari, 
Ma di immaginazione, sofferenza, luce ed amore e rispetto
Per ogni essere umano.
Non rubare mai, non uccidere mai, sei parte della forza e della vita
La Rivoluzione si tramanda da uomo ad uomo e da cuore a cuore
E percepisco quando guardo le stelle che siamo figli della vita
… La morte è poca cosa.

di Gianni ZANIRATO

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