La presa del potere da parte di Hitler ha tre radici.
- Le condizioni umilianti del Trattato di Versailles.
Dopo la Prima Guerra Mondiale le Nazioni vincitrici (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia) imposero ai Tedeschi misure umilianti. In termini territoriali la Germania dovette cedere territori a Belgio, Polonia, Danimarca, Cecoslovacchia, Lituania; fuori d’Europa perse tutte le colonie; la cessione più cospicua fu a favore della Francia che si impossessò dell’Alsazia e della Lorena: più di 40.000 chilometri quadrati pari un decimo della popolazione. Inoltre fu demilitarizzata tutta la regione del Reno, cioè la Germania non poteva avere alcuna fortificazione militare o insediamento di truppe.
- Le condizioni economiche e sociali.
Il Trattato di Versailles aveva anche risvolti economici che si accompagnavano ai cospicui risarcimenti di guerra: perdita della zona industriale e mineraria della SAAR, della zona industrializzata dello Schleswig, del porto di Danzica. C’era inoltre l’embargo economico: è stato calcolato che per il blocco da parte della Royal Navy oltre 760.000 tedeschi sono morti per fame, denutrizione e malattie. La Germania era ancora in ginocchio quando giunsero anche là gli effetti della Grande Crisi del 1929. Il Paese era in una situazione di grande instabilità democratica. Le forze politiche, paralizzate da veti incrociati, non erano in grado di dare una risposta alla fame, alla disoccupazione, a una svalutazione senza freni.
- La questione ebraica.
La disperazione e la sfiducia del popolo tedesco era tanta che era disposta a barattare la democrazia con una forma di potere autoritario purché risolvesse i problemi concreti e quotidiani. Hitler suscitò l’orgoglio dei tedeschi facendo leva sul revanscismo (il desiderio di rivincita contro i Paesi che avevano imposto il Trattato di Versailles). Fece anche di più. Disse ai tedeschi che essi meritavano ben altro che un destino di perdenti in quanto appartenevano a una razza superiore: la razza ariana. Questa, per potersi affermare, aveva bisogno di due cose: l’allargamento dello spazio vitale e la eliminazione delle razze inferiori. Ecco che la ripresa economica basata sulla militarizzazione e la questione ebraica si fondono.
Umberto Eco ha raccontato in maniera romanzesca nella sua ultima opera “Il cimitero di Praga” la nascita dei “Protocolli dei Savi di Sion”, un documento creato con l’intento di diffondere l’odio verso gli ebrei. Malgrado i Protocolli fossero subito smascherati come un falso, il loro contenuto fu propagandato come vero (anche allora c’erano le fake news) dagli ambienti antisemiti cui apparteneva Hitler. Anche Mussolini denunciò ripetutamente il cosiddetto “Complotto demo-pluto-giudaico-massonico”, un complotto con cui comunisti, massoni e ricchi ebrei volevano conquistare il mondo.
Ma perché gli ebrei erano così odiati?
Quello ebraico è un popolo con una forte identità collegata all’adesione a una religione plurimillenaria. È anche un popolo fiero: Barabba, l’uomo scambiato con Gesù, era uno zelota, un combattente contro l’invasore romano. Di fatto la provincia di Giudea non fu mai del tutto pacificata fino alla distruzione definitiva di Gerusalemme che costrinse gli ebrei a emigrare in ogni parte d’Europa (diaspora) mantenendo però la propria identità di popolo. Nel mondo cristiano furono incolpati per la morte di Gesù. Oltre che come deicidi venivano additati come responsabili delle peggiori nefandezze: dal rapimento di bambini all’avvelenamento dei pozzi, da malefici alla diffusione della peste. L’elemento che cambiò il destino di questo popolo reietto e segregato fu, dopo l’anno mille, la proibizione di esercitare tutte le professioni liberali, l’iscrizione alle corporazioni e confraternite. (Il divieto di possedere e lavorare la terra, così come di avere braccianti e dipendenti al servizio non ebrei era in vigore già da tempo). Di fatto gli ebrei vennero spinti a esercitare l’unico mestiere non vietato che è il prestito di denaro. Questo, da un lato generò un considerevole arricchimento degli ebrei ma dall’altro aumentò l’odio delle persone (tutti, prima o poi, erano costretti a chiedere un prestito) e l’avidità dei governanti. Nel 1492, l’anno della scoperta dell’America, Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona (per rimpinguare le casse reali) costrinsero 600.000 ebrei (un decimo della popolazione spagnola) a emigrare e perdere i loro averi. Malgrado ciò gli ebrei si ripresero e fecero la fortuna economica di Anversa e poi di Amsterdam e poi di New York.
L’obiettivo di eliminare gli ebrei permetteva a Hitler di impadronirsi di enormi ricchezze (determinanti per il rilancio dell’economia) e affermare la superiorità della razza. Inoltre la manodopera ebrea poteva essere usata gratis nelle fabbriche, private dei giovani tedeschi militarizzati. I primi campi di concentramento furono organizzati a questo scopo. Al cancello di Auschwitz campeggia la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Era perfino sorto un contenzioso tra i padroni delle fabbriche che volevano lavoratori più nutriti (perché lavorassero meglio) e ufficiali che invece perseguivano l’obiettivo dello sterminio mediante il lavoro. Questi campi però portarono alla morte solo di 70.000 ebrei. C’era il problema di come nutrire tutti questi ebrei che avevano lasciato lo “spazio vitale” agli ariani tedeschi. Qualcuno propose la deportazione nei Paesi Artici. Si optò infine di realizzare campi dedicati esplicitamente allo scopo di raggiungere la soluzione finale. Creati sulla base di un complesso ed efficiente programma organizzativo, i campi di sterminio nazisti causarono la morte di circa sei milioni di ebrei e costituiscono l’unico caso nella storia di struttura detentiva studiata appositamente, secondo tecniche scientifiche e pianificazione di tipo industriale, per distruggere un’intera popolazione sulla base di concezioni ideologico-razziali. L’attività di annientamento dei campi di sterminio rappresentò la fase culminante e più tragica della Shoah. Il processo seguì una logica di perfezionamento tecnico. Si partì dallo stipare gli ebrei in camion appositamente modificati in cui veniva convogliato il gas di scappamento: il procedimento però era troppo lungo e a bassa produttività (meno di 1.000 persone al giorno).
Furono realizzati campi attrezzati con camere a gas (monossido di carbonio). Ma, non essendo dotati di forni crematori, i cadaveri dovevano essere bruciati in fosse improvvisate con risultati insoddisfacenti. Con tutto ciò la produzione era migliorata: si potevano eliminare fino a 25.000 persone al giorno.
I campi di sterminio si moltiplicarono (a volte la loro costruzione andava a rilento e i gerarchi nazisti si lamentavano dei ritardi nella soluzione del “problema ebraico”) via via perfezionandosi fino alla eleganza della linea ferroviaria di Birchenau per il campo di sterminio di Auschwitz che portava la merce a destinazione pronta per il monossido di carbonio, l’acido cianidrico, i forni di cremazione.
6.000.000 di ebrei.
Sei milioni di persone (con occhi, gambe, braccia, mente, cuore …).
È preziosa la lettura del “Diario di Anna Frank” perché ci fa pensare che quelle non erano numeri (da contabilizzare come burocrati o risolvere come un problema matematico o scientifico) ma persone, persone come quella ragazzina (con occhi, gambe, braccia, mente, cuore …).
Nota: Per chi non si fosse stancato di leggere, suggerisco di leggere “Nella colonia penale”, un breve racconto di Kafka. Apparentemente non c’entra nulla con l’olocausto (fu scritto nel 1914) ma dimostra la perversa asetticità di chi realizza strumenti di morte e di tortura verso un altro uomo.
di Angelino RIGGIO