GAZA. PNEUMATICI CONTRO CECCHINI.

Il 30 marzo ricorreva la giornata della terra che commemorava un tragico episodio del 1976 quando le forze di sicurezza israeliane stroncarono uno sciopero di cittadini palestinesi d’Israele a cui erano state confiscate le terre: davanti a una protesta pacifica l’esercito reagì uccidendo sei palestinesi e ferendone un centinaio.

Il 30 marzo di quest’anno 30.000 palestinesi hanno partecipato, in ricordo di quel giorno, alla marcia del ritorno. Il ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, ha parlato di “provocazione”. I portavoce dell’esercito hanno accusato i manifestanti di essere dei “rivoltosi”.

In ciascuno dei cinque luoghi di raduno indicati lungo la frontiera il popolo di Gaza si è presentato in tutta la sua diversità e indigenza.

Anziani e bambini, donne con il velo e studenti, ma soprattutto giovani senza futuro.

Hanno camminato per chilometri o hanno preso l’autobus.

Hanno portato i bambini sulle spalle,

si sono aggrappati ai furgoni,

si sono tenuti in equilibrio, dieci alla volta, su vecchi trattori.

Nella confusione dei clacson e degli impianti stereo,

si sono avvicinati lentamente alla zona di frontiera.

 

La frontiera.

Quella zona di frontiera che di solito evitano per timore.

Quella zona di frontiera dove l’esercito israeliano sta costruendo un muro

Perché ha paura che quella barriera sia troppo vulnerabile.

La maggior parte delle persone è rimasta a distanza, lontano dalla frontiera,

mangiando gelati o snack, pregando.

 

Pregando.

C’era un’avanguardia di temerari, centinaia di adolescenti,

che si sono avvicinati alla barriera

senza mai superarla.

Ma urlavano slogan

E qualcuno aveva una fionda.

 

Una fionda,

un’arma terribile come ricordano gli eredi di Davide.

Per difendersi da questa arma micidiale

cinquanta cecchini armati di fucili di precisione

hanno sparato su trentamila persone:

uomini, vecchi, donne, bambini, studenti, giovani senza futuro.

 

Trentamila persone

Trentamila persone che, camminando sull’erba, chiedevano

di non vivere in una prigione a cielo aperto,

di non permettere che il loro carceriere decida per loro

quanto cibo, quanta acqua, quanta elettricità, quante medicine

devono avere.

 

I cecchini

I cecchini, tiratori di precisione,

lontani, protetti da caschi e nascosti da tute mimetiche,

hanno fatto bene il loro lavoro.

Diciassette morti e ottocento feriti.

E continuano a eseguire il compito con efficienza.

 

Continuano

Ma il loro lavoro è reso fastidiosamente più duro:

i “rivoltosi” sono pericolosamente armati

di copertoni che bruciano.

E il loro fumo impedisce ai cecchini

di prendere bene la mira, uccidere e fermare

uomini, vecchi, donne, bambini, studenti e soprattutto giovani senza speranza.

di Angelino RIGGIO

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.