Molti anni fa ho letto “Il progresso nel mondo antico” di Gordon Childe. Quell’antropologo fu il primo a individuare come luogo di nascita della rivoluzione del Neolitico la Mezzaluna fertile, un’area geografica che grosso modo parte dall’oriente dell’Asia Minore e arriva alla foce del Tigri e dell’Eufrate che per il clima e la fertilità del suolo consentiva facilmente la crescita, spontanea prima e coltivata poi, degli antenati dei cereali.
Nella prima lezione del corso della Scuola di formazione politica dal titolo “RIVOLUZIONI” abbiamo parlato di come la rivoluzione del neolitico sia stata la più importante della storia dell’umanità. Con essa, gli uomini passarono dalla condizione di raccoglitori-cacciatori a quella di agricoltori-allevatori. Non si trattò solo di un cambiamento del modo di procurarsi il cibo ma di una grande trasformazione sociale e culturale.
Il cacciatore-raccoglitore, l’uomo del Paleolitico, era costretto al nomadismo. Si nutriva delle risorse che la natura dava dissipandole gradatamente ma inesorabilmente. La insufficienza di piante commestibili spontanee o di animali piccoli o mansueti (o di carogne abbandonate da predatori più forti) o anche la loro estinzione (come il famoso dodo) spingeva a spostamenti verso altri territori da sfruttare. Anche il contrasto a questa penuria collegato a una maggiore organizzazione sociale come la caccia in branco (per attaccare animali più grossi e pericolosi) o la guerra (per strappare a gruppi rivali il possesso del cacciato o il controllo del territorio) non risolveva il problema perché per gli sconfitti portava comunque a lasciare il territorio e per i vincitori prolungava soltanto la necessità di partire perché le risorse depredate andavano inesorabilmente verso l’insufficienza o l’estinzione. Va detto che il nomadismo ha avuto un merito storico fondamentale perché ha spinto l’uomo a lasciare la Rift Valley in Africa (culla dell’umanità) e a popolare tutto il Pianeta: siamo tutti migranti e originari dell’Africa.
Con la rivoluzione neolitica, l’uomo si ferma in un luogo che ritiene più adatto alla sopravvivenza (diventa stanziale). Con la stanzialità diminuisce la mortalità dei soggetti deboli (anziani, malati, feriti, vecchi, bambini) e soprattutto aumenta la natalità e diminuisce la mortalità infantile. La terra coltivata e l’allevamento garantiscono maggiori quantità di cibo che può nutrire questo aumento di popolazione. Inoltre il surplus alimentare consente di nutrire nuove figure sociali: sacerdoti, giudici, politici, commercianti, artigiani, pensatori, ecc. e realizzare una società sempre più forte e complessa.
Questa nuova organizzazione sociale è molto più efficiente di quella del Paleolitico e risponde alla domanda che un uomo della Nuova Guinea pone a Jaret Diamond nel suo libro “Armi, acciaio e malattie”: perché l’umanità ha conosciuto tassi di sviluppo così diversi nei vari continenti?
La risposta è appunto nella mancata rivoluzione del neolitico in alcune zone del Pianeta o nel ritardato passaggio dalla condizione di cacciatore-raccoglitore a quella di agricoltore allevatore presso altri popoli.
Lasciarci alle spalle la condizione paleolitica è fondamentale per il progresso dell’umanità. La pratica di approfittare delle risorse del pianeta fino al loro esaurimento o alla devastazione dell’ambiente appartiene a un residuo del paleolitico. La lotta per la sopravvivenza intesa come lotta degli uni contro gli altri è contraria alla socialità che il neolitico ha dimostrato come superiore per la sopravvivenza e il progresso dell’umanità. La guerra per appropriarsi delle ricchezze altrui è nella logica degli animali predatori che porta solo alla distruzione delle risorse.
Gordon Childe dice un’altra cosa importante: la rivoluzione del neolitico è la rivoluzione delle donne.
Naturalmente non vuol dire che i maschi non parteciparono a questo enorme cambiamento.
Gordon Childe vuol dire che quell’epoca (circa 10.000 anni fa) vide l’affermarsi di elementi che sono propri della cultura femminile. Erano le donne ad avere il massimo di vantaggio della stanzialità per affrontare la gravidanza, l’allattamento, la battaglia per la sopravvivenza dei nuovi nati. Erano le donne, abituate dalla gravidanza, alla strategia dell’attesa che, piuttosto che strappare le piante per cibarsene, se ne prendevano cura per farle crescere e selezionarle per usarle come cibo e come rimedio contro i mali. Erano le donne che preferivano fare crescere i cuccioli di animali piuttosto che ucciderli per cibarsene subito. La stessa parola “addomesticare” usata per avere aiuto e compagnia dagli animali nasce dalla stanzialità (domus vuol dire casa, il luogo in cui si sta). Così la cultura femminile (che non è esclusiva delle donne) guarda di più al rispetto dell’ambiente, alla solidarietà verso i più deboli, alla costruzione della socialità, a nuovi modi di produzione (e quindi alla tecnologia e alla scienza), al futuro (rappresentato soprattutto dai figli).
Purtroppo le donne, in una logica residua di una mentalità predatoria e paleolitica, sono state quasi ovunque e per lunghissimo tempo sottomesse, private della cultura, espulse da ogni forma di potere. Oltre che indice di primitività, questo è un comportamento stupido perché impedisce la piena affermazione e il dispiegarsi dell’enorme potenzialità di metà dell’umanità..
È questo il motivo per cui al corso sulle RIVOLUZIONI facciamo seguire il corso di quest’anno:
L’ALTRA META’ DEL CIELO
LA “RIVOLUZIONE” FEMMINILE NEL DOPOGUERRA.
Il corso 2018/2019 della Scuola di Formazione Politica sarà di altissimo livello come potrete vedere dal programma che sarà presentato nella Conferenza Stampa del 28 settembre alle 16, presso la Sala Mattei, a cui siete invitati tutti.
Il corso inizierà venerdì 5 ottobre alle 21 con una lectio magistralis di LIVIA TURCO sulle MADRI DELLA COSTITUZIONE.
di Angelino RIGGIO