AUTOPRESENTAZIONE DI STEFI PASTORI GLOSS
Nel 2020 sarà pubblicato il mio saggio RINASCITE RIBELLI

come radicale aggiornamento del precedente
CORPI RIBELLI resilienza tra maltrattamenti e stalking

sullo stile di Lea Melandri, mia mentore [Melandri, L. (2011) Amore e Violenza, Milano, Bollati Boringhieri editori].
Mi occupo di violenza sulle donne da poco più di una decina d’anni. Ammetto di aver smesso di leggere notizie inerenti alla violenza sulle donne e ai femminicidi dai Media Nazionali perché disgustata dalla reiterazione di definizioni giornalistiche comprese nelle sfumature che vanno da ‘raptus della gelosia’ a ‘delitto passionale’.
Dall’utilizzo di tale lessico si deduce che il problema è affrontato non solo male, ma persino senza cognizione di causa.
Dal basso della mia modesta esperienza, vorrei proporVi un nuovo ciclo di articoli di approfondimento dal titolo LE PAROLE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE che possa far chiarezza e creare valore sull’argomento.

Recensione JOKER:
Put on a happy face
(JOKER, la recensione)
di Stefi Pastori Gloss
Vi sono svariati motivi che concorrono ad eleggere Joker come copertina di RINASCITE RIBELLI.
Il Joker di Todd Phillips, Leone d’oro a Venezia76, Golden Globe 2020 per miglior recitazione, undici nominations agli Oscar della cui attribuzione il regista e il protagonista se ne aspettano almeno quattro, Joker è un film che non può prescindere dal politicamente scorretto.
RINASCITE RIBELLI tratta di situazioni politicamente scorrette.
Un film che non può prescindere dall’oscurità, nascosta in ciascun spettatore.
RINASCITE RIBELLI tratta dell’oscurità celata in ciascuno di noi.
Un film che non può prescindere dalle risate malate del protagonista. RINASCITE RIBELLI tratta non di malattia, ma di disturbi del comportamento.
Un film che non può prescindere dalla sua stessa colonna sonora, fatta di tonalità scure, gravi, profonde, viola orchestrale e sonorità elettroniche commiste, grancasse e diesis ritmati.
Se RINASCITE RIBELLI dovesse avere una colonna sonora, sarebbe esattamente così.
Infatti, per comprendere a fondo il film, ci si deve immergere e far rapire dalle note della compositrice islandese Hildur Guðnadóttir e nel resto della soundtrack costellata di classici strepitosi, da Frank Sinatra e Fred Astaire fino all rock di Gary Glitter e dei Cream. Un po’ come le nostre vite.
Diretto da Todd Phillips, script in collaborazione con Scott Silver, il film è totalmente imperniato sul personaggio principale che dà il titolo.
Joaquin Phoenix d’ora in poi sarà indissolubilmente legato al suo stesso Joker, totalmente slegato da qualsiasi altro film ispirato ai personaggi DC Comics e non uno stretto adattamento di precedenti storie filmiche.
Per stessa ammissione del regista, il film è influenzato da un paio di pellicole di Scorsese (TAXI DRIVER e RE PER UNA NOTTE).
Persino un neofita se ne accorgerebbe, grazie all’utilizzo di De Niro, a dire il vero così imbolsito da essere irriconoscibile.
Di Joaquin, i più saranno rimasti all’interpretazione vilain dell’ imperatore romano Commodo ai tempi de IL GLADIATORE.
Acerba. Infatti, da quella sono passati vent’anni e lo si percepisce concretamente nella maturità recitativa di Phoenix.
All’epoca, l’attore appariva di un’imponente torbida bellezza, come il personaggio richiedeva, il viso porcellanato dei potenti e le borse scure sotto lo sguardo del bieco uomo di potere.
In questa pellicola, invece, si direbbe più alto di Commodo, dimagrito, emaciato, così tanto aderente alla parte da lasciar pensare abbia vissuto sulla sua pelle le traversie di Joker.
L’attore usa strategie mirate per dar corpo alla malattia del personaggio.
Indossa scarpe più grandi dei suoi piedi – e non mi riferisco a quelle da clown, Phoenix nel film sembra abbia un 48 di piede, a Venezia invece durante la premiazione indossa delle All Star con lo smoking, ma di una misura che si direbbe un normale 43; per gran parte della pellicola, trascina un passo con grande evidenza zoppo, però in chiusura film corre come se non ci fosse un domani, dimenticando la zoppia; dopo aver scoperto che tutta Gotham City è dalla sua parte, nella scena in cui emerge dalla metropolitana cammina rilassato leggiadro e consapevole finalmente del suo valore, senza zoppicare.
In più, l’uomo (lo chiamo così, perché Joaquin Phoenix appare nella sua dimensione di più sconcertante umanità, tanto buona tanto deforme quanto cattiva, Lombroso docet), l’uomo usa coscientemente le proprie deformità fisiche per sottolineare quelle psichiche. E Todd sta al suo gioco.
Delle sue scene madri, ce n’è una in particolare che dà significato a tutto il film; rappresenta il motivo per cui Joker ha assunto l’importanza di rivestire il ruolo di copertina di RINASCITE RIBELLI; ed è quella in cui Todd Phillips ci fa penetrare nei misteri della psiche del protagonista, persona affetta da disturbi del comportamento, inoculatigli dalla madre fin dalla più tenera età.
In questa scena, l’impietosa macchina da presa lo scova seduto negli spogliatoi del datore di lavoro.
È qui che conosceremo la cagione prioritaria della trasformazione di Arthur Fleck, fondamentalmente un buono, in Joker, fondamentalmente un cattivo, tramite un magistrale il carrello in avanti in avvicinamento alla schiena ingobbita, appesantita e lorda di ecchimosi, mentre il protagonista martoria una delle scarpacce da clown, suoi strumenti di lavoro.
Ha da poco subito un pestaggio da parte di un gruppo di bulli, durante l’espletamento del suo misero, ma dignitoso, lavoro da clown stradale, per il quale è costretto ad indossare il sorriso che tanto gli inculcò la madre fin da piccolino e che trova naturale realizzazione in questo compito da disperato.
Una delle sue braccia è seminascosta dal torace, appare come staccata e indipendente dal resto del corpo, fissata in un punto anatomicamente ‘sbagliato’.
L’inquadratura sottolinea ancor di più tale innaturale incongruenza, parlandoci del suo essere interiore, così scollegato dalla società dei normalmente adeguati.
È un ineccepibile ‘punto di svolta’ del plot, perché proprio in quel momento un collega gli farà dono di un’arma, per difendersi, ma che determinerà il suo prossimo futuro di eroe negativo.
Forse è qui che scatta l’amore del pubblico per Arthur Fleck.
Anche se sono solo gli studiosi esperti del fenomeno della violenza sulle donne a poter lucidamente riconoscere che per ogni vittima, c’è un carnefice, che il carnefice cerca la propria vittima, così come la vittima cerca il proprio carceriere, il film sostiene proprio queste tesi, asserzioni che ritroviamo sostenute dagli psicologi clinici del trattamento di vittime e carnefici intervistati in RINASCITE RIBELLI.
Tutti gli spettatori si aspettano che Arthur Fleck, in quanto buono rifiutato dalla Società, prima o poi usi l’arma contro di sé.
Invece no, la sua voglia di vita e di rivalsa contro i soprusi subiti diventerà gonfalone degli oppressi di Gotham, che indosseranno la sua maschera per protestare contro bulli e potenti e ricchi. Un novello Robin Hood, che ruba le vite e non i denari, che rende facile identificarsi nel colorato eroe negativo e che, nel finale sorprendentemente aperto, non muore.
Un disadattato che finisce costretto ad adattarsi, suo malgrado, sebbene conserverà l’impronta di sangue nel suo destino.
Impressionante come Phoenix mantenga la tragedia nello sguardo durante le sue sguaiate risate, cosa impossibile al Joker Jared Leto precedente, che, forse per sopperire alla sua incapacità recitativa, usò l’escamotage di tatuarsi il sorriso sulla mano.
Un film, JOKER, da vedere perché fa riflettere, per riconoscere il Joker che è in noi.
Da non vedere, se si vogliono chiudere gli occhi sulla realtà malata che ci circonda (e che ci fa ammalare).
Un libro, RINASCITE RIBELLI, da leggere perché ci fa soppesare certi nostri comportamenti da vittima o carnefice, mai così vicini, mai così sovrapponibili.
Per collaborazioni artistiche:
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Stefi Pastori Gloss (Gruppo di Lavoro e Osservatorio Sessismo e Stalking)
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