Giusto tra le Nazioni.
Per noi antifascisti il 25 aprile è ogni giorno dell’anno ed oggi desidero ricordare un quasi sconosciuto eroe
Don Viale prese pubblicamente posizione contro il fascismo e la guerra sul foglio parrocchiale che dirigeva, tanto che i fascisti ne soppressero le pubblicazioni.
Dopo l’inizio della Seconda guerra mondiale, tenne una predica che gli valse l’arresto e la condanna a quattro anni di confino ad Agnone (Campobasso).
La condanna gli fu, dopo quindici mesi, condonata, ma il sacerdote, tornato nella sua parrocchia, continuò coerentemente il suo apostolato di pace, tanto che dovette subire nuovi attacchi dalle autorità fasciste di Cuneo.
Dopo l’8 settembre 1943, si adoperò (a rischio della vita), per salvare ebrei stranieri che, dalla Francia, avevano cercato rifugio nelle vallate del Cuneese.
Don Viale non mancò di aiutare anche i militari, prigionieri e poi sbandati, della Quarta Armata alleata e i partigiani della zona, tanto che nell’agosto del 1944 fu costretto a darsi alla clandestinità.
A don Viale, nel 2000, è stato premiato “Giusto tra le Nazioni”.
“Giusto tra le nazioni” è stato utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito in eroico a rischio della propria vita e senza interesse personale per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah.
Un prete libero e scomodo.
Antifascista e anticomunista.
Un rompiscatole, un “bastian contrari”.
Uno spirito ribelle che sin dagli anni del seminario mal sopporta soprusi e ingiustizie, tanto da subire la sospensione a divinis negli anni Settanta.

Don Raimondo Viale è una di quelle figure rimaste nascoste nelle pieghe della storia, un po’ come Schindler o Perlasca.
Come loro, anche don Viale è stato dichiarato ‘ Giusto d’Israele’ per la sua azione a favore degli ebrei che a centinaia, dopo l’8 settembre, arrivavano dalla Francia.
Figlio di un padre contadino e spaccapietre.
Una vita stentata, di patate e polenta.
«Forse è stato un dono di Dio la povertà in cui sono cresciuto. È nell’infanzia che ho imparato a resistere», confesserà a Nuto Revelli.
La testimonianza è quella di un sacerdote che della giustizia ha fatto la propria ragione di vita.
Resistere è stata sempre la sua parola d’ordine anche nei confronti delle giovani generazioni, la figura esemplare di un uomo che ha difeso senza indugi il valore della democrazia, ma anche stimolare una riflessione approfondita su questioni come il senso della vocazione sacerdotale, i dubbi e le scelte di fronte alla Resistenza, il rapporto tra fede e storia, tra fedeltà ad una missione e debolezza umana, il revisionismo, l’atteggiamento dei cattolici, gli ideali traditi .
Don Raimondo Viale viene ordinato sacerdote nel ’ 30 e assegnato alla parrocchia di Borgo San Dalmazzo, a pochi chilometri da Cuneo.
Da subito iniziano i problemi con i fascisti.
Afferma don Viale «Ero già un po’ sulle corna dei fascisti che strappavano i distintivi dell’Azione Cattolica ai miei giovani.
Il fascismo, tramite le sue organizzazioni giovanili e i suoi Dopolavoro, pretendeva di realizzare un controllo assoluto sui giovani». L’intolleranza nei confronti dei circoli cattolici cresce d’intensità fino ad arrivare al divieto di pubblicare il bollettino parrocchiale in quanto ‘ propaganda antinazionale’.
I fascisti tentano di far tacere per sempre don Raimondo.
Il 31 marzo 1939, mentre torna a Borgo in bicicletta, un’auto lo investe.
In due lo picchiano, a bastonate e calci.
Non è finita: il 2 giugno del 1940 durante l’omelia si augura che la guerra si faccia solo a parole ‘ perché se si facesse sul serio, noi dovremmo condannarla senza condizioni’.
Viene arrestato e condotto al carcere di Cuneo.
«Mi assegnarono alla cella Numero Zero. Ah, com’erano squallide le prigioni di allora. Orrende. Cimici a centinaia, ogni genere di insetti. Una puzza. Rabbrividisco ancora oggi se penso a quell’ambiente degradato, indegno».
Processato, è condannato al confino, ad Agnone nel Molise.
Riprende il suo posto in parrocchia e dopo l’8 settembre e diventa testimone delle atrocità nazi- fasciste. Il 19 settembre ’ 43, la strage di Boves.
Venti assassinati e tra loro due preti amici di don Viale.
Il 2 maggio ’ 44 la fucilazione di 13 partigiani.
Li assiste, li confessa.
«Dopo due ore, tanto è durato il massacro, non rimangono che pali sforacchiati dalle pallottole, e le tredici bare».
Aiuta i partigiani, aiuta le famiglie ebree a nascondersi, ma non può far nulla per i trecento ebrei caricati sui carri bestiame alla stazione di Borgo con destinazione Auschwitz.
Un prete scomodo, ma non un prete rosso.
Se il fascismo è «una dittatura tragico- buffonesca», non nutre indulgenze verso il comunismo: «Non mi andava, ero fortemente polemico. Il comunismo è una dittatura, una dittatura militaresca. Il comunismo ha compiuto una scelta giusta quando ha assunto la difesa del popolo da chi lo sfruttava. Ma poi è diventato una dittatura, e come tale ha fatto tutto quello che può esserci di male»
Don Viale è il protagonista del libro di Nuto Revelli Il prete giusto, edito da Einaudi nel 2004. Revelli scrive sulla premessa al libro:
“La resistenza che è una dote dell’uomo maturo, dell’uomo che rifiuta tutto ciò che è ingiusto, e si ribella, si ribella… La Bibbia è piena di resistenza. La resistenza è una cosa sacra, è un elemento di vita che conserva la vita, e respinge tutto quello che è contrario alla dignità umana e alla vita stessa”.

Fonti:
Nuto Revelli Il prete giusto, edito da Einaudi nel 2004.

Articoli su “Avvenire”
di Gianni ZANIRATO
Ho letto il libro di Nuto Revelli e mi ha colpito la figura di Don Viale, asciutto, concreto, generoso, spontaneo, capace di mettersi in gioco in prima persona al servizio dei prossimi. Una viva testimonianza del Vangelo. Vorrei sapere di più sulla sua sospensione come sacerdote e chiedere se si sia mai attivati per una sua riabilitazione, anche se postuma….?