7 giugno 1984.
Notte.
Accendo la TV: un cronista comunica che Enrico Berlinguer è stato ricoverato all’ospedale di Padova “per un malore”, non si conosce ancora la gravità, più tardi si parlerà d’ictus.
Mi sento smarrito.
Provo il dolore e la speranza che si sente di fronte ad una grave notizia che coinvolge un amico carissimo, un membro della propria famiglia.
Mi ero iscritto al PCI nel 1973, reduce dalle speranze della grande ubriacatura del Sessantotto.
Vedevo in Enrico Berlinguer il continuatore di quelle mie grandi speranze.
Avevo partecipato tante volte ai suoi comizi ricevendone sempre delle lezioni di politica, di democrazia e di cultura.
Leggevo con passione i suoi articoli su “l’Unità” e “Rinascita”: per me era sempre un’esperienza di crescita; lui comprendeva prima di ogni altro gli avvenimenti politici.
Rispetto ad altri leader con ti entrava solo nella mente ma anche nel cuore.
“Dolce Enrico” lo battezzerà Antonello Venditti:
Chiudo gli occhi e penso a te, dolce Enrico
Nel mio cuore accanto a me, tu sei vivo.
Chiudo gli occhi e tu ci sei, dolce Enrico
Tu cammini insieme a me…
Il 7 giugno Berlinguer tiene un comizio a Padova durante la campagna elettorale per le successive elezioni europee.
Parlare a Padova significa anche sfidare la sinistra extraparlamentare violenta, gli autonomi e i sostenitori del terrorismo, insomma, una battaglia per la difesa dei valori della legalità e della democrazia.
Durante il suo intervento è colpito da un ictus che lo costringe a una pausa mentre si appresta a pronunciare la frase «Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda».
Pur provato dal malore, continua il discorso fino alla fine, nonostante che la folla dei compagni, dopo i cori di sostegno, urlasse:
«Basta, Enrico!»
Alla fine del comizio viene condotto all’albergo ed entra in coma, arriva all’ospedale in condizioni drammatiche.
Muore l’11 giugno.
Al suo capezzale, in tutti questi giorni, vi sono milioni di militanti, di simpatizzanti, di votanti ed anche di avversari.
Tutti attendiamo il miracolo che invece non ci sarà.
Ricordo che in prima pagina de ”l’Unità” fu pubblicato il telegramma delle lavoratrici e lavoratori della SIPEA di Nichelino
“ Ti aspettiamo in piazza con noi per continuare le nostre lotte”.
Ci assale un senso di smarrimento e di dolore.
Di dolore vero: quello che provi di fronte alla morte del padre.
In sezione “1° Maggio” incontro i compagni.
Ci abbracciamo.
Le compagne piangono senza cercare di trattenere le lacrime.
I compagni hanno gli occhi lucidi e cercano di non piangere, ma com’è difficile.
Ex partigiani che avevano imbracciato il fucile per la nostra democrazia e libertà sono sinceramente commossi.
L’amico partigiano Taricco mi dice: “Piango come facevo quando seppellivamo un nostro compagno partigiano”.
Non occorre parlare, ci sentiamo una sola persona con gli stessi ideali e lo stesso forte dolore.
A Padova il presidente della Repubblica Sandro Pertini si reca all’ospedale.
Entra nella stanza e lo bacia sulla fronte.
Decide di trasportare Enrico sull’aereo presidenziale: «Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta».

Commovente sarà il suo saluto a Enrico.
FUNERALE Roma il 13 giugno
Partecipa oltre un milione e mezzo di persone.
Altri milioni seguono in diretta su TV7.
Da tutta Italia e dall’estero arriva una folla immensa di compagni ma anche di persone che non hanno mai votato PCI.
Un gruppo di suore fa il segno della croce.
Famiglie intere arrivano dal Nord, dal Centro e dal Sud, da ogni parte.
Treni speciali, centinaia di pullman, Auto.
Pugni chiusi a salutare Enrico.
Il corteo, con la bara, sfila dalla sede del PCI, in via delle Botteghe Oscure, a piazza San Giovanni.
La folla è emozionata.
Esprime ammirazione ma anche amore.
L’Italia migliore di sinistra e democratica a Roma in questo giorno è veramente unita.
Occhi lucidi di pianto, segni della croce e pugni chiusi.
Un grido collettivo risuona in continuazione: “Enrico, Enrico”.
Non il cognome del leader carismatico e riconosciuto capo e segretario del più grande partito comunista occidentale, ma il nome dell’amico e del compagno: “ Enrico, Enrico”.
Di Enrico, Enzo Biagi dirà semplicemente: “Sentivi che credeva a quello che diceva.”
Parole insignificanti agli occhi dei molti, ma che ieri come oggi sono come una montagna.
Il funerale di Berlinguer è stato il più grande funerale della Storia d’Italia, se non d’Europa, di un leader comunista.
L’amore dimostrato dai cittadini italiani, e non solo, deriva da quel suo modo di fare schivo e timido, generoso e sincero, che lo portò a compiere le più grandi svolte della Sinistra italiana (tanto che i suoi presunti eredi hanno campato di rendita per decenni).
Era il capo della Sinistra, di quella Sinistra che non aveva mai governato perché il mondo diviso in blocchi non lo permetteva.
Eppure la sua morte fu un dolore collettivo, una ferita nel cuore di milioni d’italiani, e non solo, che seguono i funerali in diretta sulle televisioni.
A Roma ci sono tutti: i suoi compagni, i suoi avversari, i più grandi capi di Stato e di governo del mondo.
Tutti a rendere omaggio a Enrico Berlinguer.
Ad un certo punto, si sparge la voce che sta arrivando Giorgio Almirante, il segretario del Movimento Sociale Italiano.
Giancarlo Pajetta, che aveva passato la sua giovinezza nelle carceri del regime ed ha avuto un giovanissimo fratello ucciso dai nazifascisti (Gasparre), va a prenderlo tra la folla.
Antifascisti di ieri e di oggi non protestano.
Nessuno osa fiatare quando vede il nemico (che aveva massacrato centinaia di partigiani) che si reca a rendere omaggio alla bara di Berlinguer.
Unire uomini a idee e ideali: questo ha fatto Enrico Berlinguer in tutta la sua vita e questo ci ha insegnato.
Berlinguer era un uomo forte, uno di quelli che non ha mai avuto paura e non si tira mai indietro.
Non indietreggia di fronte a chi si scandalizza perchè dà il suo appoggio politico ai 40.000 operai della FIAT, che protestavano per la cassa integrazione, né quando appoggia la candidatura di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica.
Combatte , anche con parte del suo partito quando capisce che per evitare l’avanzata dei golpisti neri, in difesa della democrazia, bisognava creare un dialogo con la DC di Aldo Moro e trovare la miglior soluzione per dare al paese un governo durante gli anni più bui dello stato italiano.

Con questa foto di Berlinguer, davanti alla FIAT, ricordiamo anche il compagno e l’amico nichelinese, l’operaio Angelo Azzolina, che diventerà consigliere comunale e parlamentare.

Il PCI decise di lasciare Enrico Berlinguer capolista alle elezioni europee e chiese di votarlo in modo plebiscitario.
La consultazione, forse anche per gli eventi precedenti, segnò un grande successo del Partito comunista che, per la prima e unica volta nella storia, superò la DC, affermandosi come primo partito italiano (33,3% contro 33,0%): questo sorpasso è ricordato come dovuto all’”effetto Berlinguer”.
Precedentemente, con Berlinguer, il PCI nel 1976 aveva toccato il massimo storico dei suoi voti col 34,4%.


Mi manchi tanto, Enrico, e so che manchi a tutti noi.
Oggi abbiamo ancora tanto bisogno di te, di una guida sicura, per la difesa della democrazia ed i lavoratori.
di Gianni ZANIRATO
I Modena City Ramblers (un gruppo musicale modenese, di sinistra, impegnati in canzoni in difesa della democrazia e della Resistenza) ci hanno lasciato questa stupenda canzone:
“I FUNERALI DI ENRICO BERLINGUER”
Grazie Gianni per il bellissimo articolo, che ho letto con grande emozione e partecipazione.
COME SEMPRE GIANNI CI FA EMOZIONARE CON LE SUE PAROLE E CI FA RIVIVERE EMOZIONI CHE SEMBRAVANO DIMENTICATE! MA NON E’ COSI’ LEGGENDO QUESTO SUO ARTICOLO SONO ANDATA INDIETRO NEL TEMPO E MI SONO RITROVATE A SENTIRE QUELLO CHE HO PROVATO ALLA NOTIZIA DELLA MORTE DI BERLINGUER! SONO SENTIMENTI CHE NON SI DIMENTICANO, HO PENSATO CHE CON LUI MORIVA UNA PARTE DI NOI, RESTAVAMO ORFANI COME SI PUO’ RIMANERE ORFANI DI UN GENITORE! GRAZIE GIANNI