PERCHE’ VOTARE NO AL REFERENDUM

Articolo di Maurizio MOLINARI

20 AGOSTO 2020 “La Repubblica”

In assenza di un quadro di riforma il taglio dei deputati e dei senatori si trasforma in una semplice riduzione numerica incapace di rispondere alla necessità di avere un Parlamento più efficiente

   Il 20 e 21 settembre gli italiani sono chiamati alle urne – in coincidenza con le elezioni amministrative e regionali – per esprimersi sul referendum che propone di modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione al fine di ridurre il numero dei parlamentari: da 630 a 400 alla Camera dei deputati, da 315 a 200 al Senato.

La necessità di un taglio degli eletti in Parlamento è stata più volte sollevata in passato nell’ambito di proposte di riforma perché va incontro ad esigenze di riduzione dei costi della politica e di maggiore efficienza delle istituzioni rappresentative.

   Si tratta di tesi serie, fondate e condivise da un gran numero di cittadini ma questo referendum costituzionale non consente di premiarle, realizzarle, per il semplice motivo che il taglio dei parlamentari è lineare, a sé stante, e non è incluso in una riforma che consente di sfruttare la riduzione per rendere il Parlamento più efficiente e rappresentativo.

   Sono molte e significative le lacune create da questo taglio privo di una cornice di riforma costituzionale.

Innanzitutto, ridurre i parlamentari senza rivedere le funzioni del Parlamento – a cominciare da numero e ruolo delle commissioni – significa innescare un domino di difficoltà e di impasse dagli esiti imprevedibili.

In secondo luogo, creare collegi più grandi senza affiancare garanzie per le minoranze apre la strada a campagne elettorali dove la disponibilità di risorse economiche sarà determinante per il risultato, ed il rapporto fra eletti ed elettori si indebolirà, fino al punto che nelle Regioni più piccole si creerà una situazione maggioritaria de facto.

   C’è poi la questione dei delegati regionali, che partecipano all’elezione del Capo dello Stato, perché al momento sono 60 su circa mille parlamentari ma se questi ultimi diventassero 600, il loro ruolo assumerebbe un peso senza precedenti nella Storia repubblicana in vista della scelta del successore di Sergio Mattarella, prevista all’inizio del 2022.

   E ancora: le cronache degli ultimi anni suggeriscono come la debolezza strategica del Parlamento non è tanto nel numero quanto nella qualità di chi lo compone.

Ovvero, il vulnus è nella selezione di deputati e senatori. Sul fronte del miglioramento della qualità degli eletti e delle attività del Parlamento il referendum del 20-21 settembre non garantisce nulla a fronte di risparmi netti che, secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli, ammontano a 57 milioni l’anno e 285 milioni a legislatura ovvero una cifra significativamente più bassa di quella enfatizzata dai sostenitori della riforma – 500 milioni a legislatura – e pari ad appena lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana.
   In assenza di un quadro di riforma il taglio dei parlamentari si trasforma in una semplice riduzione numerica incapace di rispondere alla necessità di avere un Parlamento più efficiente.

Per questo più esponenti del Pd hanno parlato di “minaccia per la democrazia” trattandosi di un taglio non compensato da un riassetto oculato.

Ad avvantaggiarsi da tale scenario sono solo le istanze populiste, presenti nei settori più diversi della politica, che vedono in Montecitorio e Palazzo Madama istituzioni da ridimensionare, senza troppi complimenti e in tempi rapidi all’unico fine di premiare la protesta.

   Una vittoria del Sì gonfierebbe dunque le vele dei populisti in un momento in cui sono in difficoltà perché da un lato la Lega di Matteo Salvini perde consensi non essendo riuscita a dare una risposta convincente all’emergenza Covid 19 e dall’altro il Movimento Cinque Stelle ha perso il ruolo di primo partito del Paese ed ha scelto la via dei compromessi entrando in un governo – ed alleandosi nelle urne – con una forza politica tradizionale come il Pd.

Nell’Italia laboratorio del populismo europeo, le forze che vinsero le elezioni del 4 marzo 2018 sono in affanno e sostengono, entrambe, il referendum del taglio senza riforma per riguadagnare forza e slancio.

Ma ciò che giova a tali interessi di parte indebolisce le istituzioni repubblicane.


  Per queste ragioni l’opinione del nostro giornale è contraria ad un referendum privo di una cornice di riforma.


   Chi ha proposto la consultazione con l’intento di rafforzare il Parlamento aveva – ed ha ancora – il dovere di accompagnarla ad una legge di riforma mirata a migliorare costi, qualità ed efficienza del Parlamento della Repubblica.  

   In presenza di tale legge il referendum diventerebbe un tassello strategico di un mosaico più ambizioso e ci troverebbe favorevoli.

Perché la Costituzione è un documento vivo, che può essere sempre migliorato.

Ma in assenza di tutto ciò sarà vero l’esatto contrario: il referendum farà gioire per una notte chi ritiene che le riforme si facciano a colpi di machete o che basta una legge per battere la povertà.

Dunque, indebolirà e non rafforzerà le istituzioni repubblicane da cui dipende la tutela delle nostre libertà fondamentali.

  È un grave errore pensare che il puro e semplice taglio numerico dei rappresentanti in Parlamento renda più efficace e funzionante la nostra democrazia rappresentativa: questa visione semplicistica di una riforma costituzionale nasce dalla convinzione che esistano delle scorciatoie populiste per ridisegnare le istituzioni, senza curarsi troppo delle conseguenze.


   Noi riteniamo invece che una riforma costituzionale sia e resti uno strumento formidabile per rafforzare le istituzioni ma a patto di valutarne ogni implicazione.

 COMMENTO

  Prima di tutto sottolineo che la scelta di pubblicare l’articolo di “Repubblica” è unicamente mia, non essendo stato possibile un confronto con gli altri amici e compagni che lavorano su questo nostro giornale.

  Io dichiaro la mia piena adesione a quanto scritto sull’articolo e sono convinto che occorra votare “NO”.

  L’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha scritto:

  PERCHÉ VOTIAMO NO.

  Non è vero che Camera e Senato con la riforma in Italia si avrebbe un deputato ogni 151.210 abitanti; diventerebbe il Paese Ue col minor numero di deputati per abitante (0.7 per 100.000). In altre parole, diminuisce la rappresentanza fra i Paesi dell’Unione Europea l’Italia, rispetto al numero di abitanti, ha un numero di deputati molto basso, poco più di Francia, Olanda, Spagna e Germania, e meno, spesso molto meno di tutti gli altri Paesi.

  In parole povere, con la riforma un deputato non rappresenterebbe più come prima in media 96.006 elettori, ma ben 151.210. Perciò per il deputato sarà molto più di­fficile rappresentare concretamente un numero così elevato di cittadini.

Questo è il limite più grande della riforma, perché colpisce la funzione più importante che dovrebbe avere il parlamento: la rappresentanza.

   Sarà poi più diffi­cile, ed in alcuni casi impossibile, rappresentare adeguatamente le minoranze linguistiche e i partiti più piccoli.

Inoltre, tagliando così i parlamentari potrà essere che in questa o quella regione siano eletti solo i candidati della maggioranza.

Per questo la riforma è l’ennesimo colpo ad un parlamento già duramente sminuito.

  Nel corso degli ultimi decenni ci hanno raccontano che andava migliorata la governabilità e per questo hanno umiliato la rappresentanza.

Che vuol dire rappresentanza?

Vuol dire agire su un mandato consapevole di altri, in loro nome.

In questo caso, su mandato degli elettori.

Che vuol dire governabilità?

Vuol dire garantire che il governo possa fare il suo lavoro a lungo e senza intoppi. In realtà per una presunta governabilità, hanno trascurato la rappresentanza.

Infatti, tanta gente non si sente rappresentata e non va più a votare.

Con l’attuale legge elettorale di fatto l’elettore non decide chi eleggere, ma lo decide il capo partito o il capo corrente.

E non è vero che è migliorata la governabilità.

Basti pensare alla crisi dell’ultimo governo ad agosto dell’anno scorso, quando il ministro dell’Interno ha deciso di far cadere il suo stesso governo.   

  Che c’entra il parlamento?

NON È VERO CHE SI RISPARMIERANNO 500 MILIONI DI EURO A LEGISLATURA.

NON È VERO CHE CI SARÀ UNA MAGGIORE EFFICIENZA DEL PARLAMENTO.

I tecnici affermano che la cifra esatta è circa la metà, per l’esattezza 285 milioni di euro per legislatura, pari a 57 milioni all’anno.

Si tratta dello 0,007 per cento della spesa pubblica.

Una cifra insignificante.

  Peraltro, la riduzione dei costi come conseguenza della riduzione del numero di parlamentari è un fatto del tutto marginale, perché i costi di Camera e Senato sono determinati da moltissime voci e variano enormemente a parità di numero dei parlamentari.

   Per esempio, la Camera del Regno Unito costa molto meno di quella italiana a parità di numero, mentre quella degli Stati Uniti costa di più, nonostante il numero di rappresentanti (parlamentari) sia di 435, cioè molto inferiore al numero attuale di deputati nel parlamento italiano.

Risparmiare è giustissimo, e il primo a dare l’esempio dev’essere lo Stato.

Ma un conto è risparmiare, un altro conto è tagliare a casaccio, senza criterio, solo per mettersi il fiore all’occhiello e dire “Abbiamo tagliato la casta!”.

  Tutti i Paesi hanno dei costi per far funzionare le istituzioni.

Ma i costi per far funzionare la democrazia sono degli investimenti perché siano garantiti diritti e libertà.

La riduzione del numero di parlamentari comporta necessariamente la modifica della legge elettorale.

Per salvaguardare in qualche modo la rappresentanza, ci vorrebbe una legge elettorale proporzionale che tuteli i piccoli partiti.

Non c’è ancora nulla.

  Non solo: bisognerà cambiare ancora la Costituzione per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Infatti, la Costituzione afferma che “Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.

All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze”.

Ma se diminuisce di più di un terzo il numero dei parlamentari e si mantiene lo stesso numero di delegati regionali, si dà a questi ultimi un soverchiante potere di elezione a discapito di quello dei parlamentari.

  D’altra parte, diminuendo il numero dei rappresenti dove sta scritto che avere meno parlamentari aumenti l’e­fficienza?

Ma in primo luogo che vuol dire effi­cienza del Parlamento?

Vuol dire maggiore capacità di realizzare i suoi compiti.

I compiti stabiliti con chiarezza dalla Costituzione sono tre: rappresentare i cittadini (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”), legiferare (“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”), controllare l’operato del governo in base a un rapporto fiduciario (“Il governo deve avere la fiducia delle due Camere”).

  Abbiamo già visto che la funzione di rappresentanza sarà fortemente svuotata.

La funzione legislativa è del tutto indipendente dal numero di parlamentari.

Il controllo sull’operato del governo sarà presumibilmente meno efficace, perché un gruppo di parlamentari molto più ridotto sarà meno pluralista e più facilmente prono alle indicazioni del capogruppo.

Per di più diminuendo drasticamente il loro numero, in Aula e nelle Commissioni vi saranno meno parlamentari con competenze specifiche.

Bisognerà comunque riscrivere i regolamenti delle Commissioni e dei gruppi parlamentari.

  In sostanza affermare che con meno parlamentari aumenterà l’e­fficienza è un’affermazione non dimostrata in alcun modo, e perciò puramente propagandistica.

C’è il rischio di non assicurare la rappresentanza delle minoranze.

Un vero pasticcio che richiede una riformulazione dell’articolo della Costituzione per salvaguardare il potere del Parlamento senza punire le minoranze regionali.

  TAGLIARE COSÌ IL NUMERO DEI PARLAMENTARI VUOL DIRE TAGLIARE IL DIRITTO DI SCEGLIERE I NOSTRI RAPPRESENTANTI.

  LA VERA CASTA E’ CHI NON PAGA LE TASSE, CHI HA SEDE FISCALE ALL’ESTERO.

UNA RIFORMA SCRITTA MALE NON SERVE AD UN PARLAMENTO RAPPRESENTATIVO, FORTE E AUTOREVOLE.

NOI VOTIAMO “NO”.

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia www.anpi.it

di Gianni ZANIRATO

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